Pronti (io no, ma comunque)? Via!
4.50:
Io… io sono fiero di aver creato con le mie sole capacità un grande gruppo imprenditoriale che ha dato lavoro a migliaia e migliaia di collaboratori, avendo l’orgoglio di non avere mai, mai, in decenni di attività, licenziato uno solo dei collaboratori delle mie aziende.
Qui, addirittura, Berlusconi deve fermarsi, prima di ricominciare a parlare, perché la voce gli si spezza; recupera tuttavia molto in fretta ed anzi la sua voce si fa particolarmente vigorosa quando pronuncia il secondo mai (per questo l’ho scritto in grassetto): si può senz’altro dedurne quello essere un punto forte del suo argomentare.
Punto forte piuttosto debole, se mi è permeso il gioco di parole: aver dato lavoro a migliaia di collaboratori (torneremo a breve sull’uso di questo termine), e non averne mai licenziato alcuno, non fa di lui un imputato verso cui utilizzare maggiore clemenza; diversamente, in qualcuno nei processi contro esponenti di primo piano di Cosa Nostra, qualche brillante avvocato difensore potrebbe obiettare che non si può pensare di condannare un così importante rappresentante dell’azienda prima in Italia per fatturato…
Dicevamo, ancora: collaboratori? Perché Berlusconi non usa la parola più consona, e cioè dipendenti? Vuole farci ribattere con facilità che, gioco forza, non puoi licenziare collaboratori, visto che non li assumi, ma stipuli con loro un contratto (a tempo determinato, nella stragrande maggioranza dei casi) detto, appunto, di collaborazione?
E infine, considerazioni linguistiche e retoriche a parte: è un fatto che nel gruppo Berlusconi si è licenziato (vedere qui), si pensa di farlo ancora (…qui…), o si costringono i lavoratori ad “auto-licenziarsi” (…qui e qui).
(Un piccolo appunto di appena due parole, infine, su quel “con le mie sole capacità”: Banca Rasini).
5.14:
Sono fiero di avere contribuito alla richezza dell’intero paese versando allo Stato miliardi e miliardi di euro di imposte ed offrendo con le mie televisioni non solo uno strumento di crescita per le aziende italiane ma anche una maggiore libertà e pluralità al mondo dell’informazione.
Siamo di nuovo qui nel campo del vago e dell’indefinito (tipico espediente cui ricorre tutta la cultura di destra, mi ha fatto notare qualcuno, commentando la prima parte*): verificare o falsificare le affermazioni di Berlusconi, e quantificare il reale peso delle imposte da lui versate, o il suo impatto sulla ricchezza complessiva del paese, è impresa improba e incapace di giungere a conclusioni significative.
Al contrario, si può dire con relativa sicurezza (suppongo che si possa ritenere valida la testimonianza di alcuni organi della Commissione europea) che la sua pur benemerita presenza nel campo dell’informazione non rende l’Italia un paese più pluralistico, anzi (notare come nell’articolo venga sottolineato che le leggi finite “nel mirino dell’Europa” sono la Gasparri e la Frattini).
5.37:
Quando ho deciso di occuparmi della cosa pubblica, cercando di chiamare all’impegno pubblico le energie migliori della società civile , ho dato un contributo anche alla modernizzazione del nostro paese e ho messo tutte le mie forze nel tentativo di realizzare una rivoluzione liberale che si è realizzata solo in parte, che non si è completamente realizzata per le insuperabili resistenze dei partiti alleati ed anche perché tante sono in Italia le resistenze e gli ostacoli al cambiamento.
Continua la tendenza arcaicizzante nel linguaggio: Berlusconi utilizza (per la seconda volta) l’espressione “cosa pubblica”, evidente calco del latino “res pubblica”; questo stile fa decisamente contrasto con quanto l’ex premier si fregia di aver fatto, cioè di aver “contribuito alla modernizzazione del paese” (anche qui, impossibile stabilire se affermi il vero oppure no, essendo tutt’altro che univoci i pareri su cosa significhi “modernizzare il paese”).
Notevoli le interpretazioni possibili sull’espressione “rivoluzione liberale”, invece; la più ovvia è che questo era il titolo di una rivista fondata dall’antifascista torinese Piero Gobetti, e che dunque si potrebbe pensare ad un omaggio, o ad una vera e propria dichiarazione di “figliolanza”: che appare tuttavia improbabile.
Benché, infatti, nell’articolo “Ai lettori” (consultabile qui) del primo numero della rivista si legga che intento di Gobetti era formare “una classe politica che abbia chiara coscienza delle sue tradizioni storiche e delle esigenze sociali nascenti dalla partecipazione del popolo alla vita dello Stato” (il Cavaliere potrebbe aver chiamato a raccolta “le energie migliori della società civile” con lo stesso scopo), subito dopo viene esplicitato che tale fine sarà raggiunto attraverso la “Revisione della nostra formazione politica nel Risorgimento”, la “Storia dell’Italia moderna dopo il 1870″, l'”Esame delle forze politiche e dei partiti e del loro sviluppo”, lo “Studio della genesi delle questioni politiche attuali”, la “Storia della politica internazionale esaminata in ogni nazione”, lo “Studio sugli uomini e la cultura politica”. Tutti temi di cui si può dire con certezza che Berlusconi non si è mai occupato; inoltre, sembrerebbe quanto meno stridente indicare come proprio padre politico un antifascista, quando in Forza Italia, e poi nel PDL (e forse poi di nuovo in Forza Italia) hanno militato e militano (e forse militeranno) ex esponenti, pochi, ma “buoni”, verrebbe da dire scorrendone l’elenco (e attenzione: qui si parla solo di Forza Italia) del Movimento Sociale Italiano (fondato da quel Giorgio Almirante che, ricordiamolo, sotto la Repubblica Sociale Italiana firmava proclami in cui si minacciavano di morte partigiani e retinenti alla leva). I due termini, dunque, devono forse essere intesi separatamente
Da quanto si diceva nella prima parte, risulta evidente che non sempre Berlusconi utilizzi il termine “rivoluzione” nel suo significato proprio; qui, probabilmente, lo fa perché vuole sottolineare come il suo ingresso in politica sia stato un deciso segnale di rottura rispetto al passato; ciò, a ben vedere, contrasta tuttavia con l’appassionata difesa dei grandi leader pre-Tangentopoli compiuta nei primi minuti del video, ed anche con i molti uomini politici che Berlusconi assoldò nel suo “nuovo” partito, prendendoli da quelli “vecchi”. Altra ipotesi è che usi il termine solo perché ben conscio del forte potere catalizzante che esso, anche quando svuotato del suo significato, ha sulle masse.
Resta da analizzare l’altra parola: “liberale”. Si legge su Wikipedia alla voce Liberalismo che esso “è un insieme di dottrine, definite in tempi e luoghi diversi durante l’età moderna e contemporanea, che pongono precisi limiti al potere e all’intervento dello stato, al fine di proteggere i diritti naturali, di salvaguardare i diritti di libertà e, di conseguenza, promuovere l’autonomia creativa dell’individuo”, ed ancora “è probabilmente la dottrina che ha più influenzato la concezione moderna della democrazia: si parla infatti di “liberaldemocrazia” in modo generico per indicare una moderna democrazia che non sia basata esclusivamente sulla volontà della maggioranza ma – anche e soprattutto – sul rispetto delle minoranze”, nonché che “il risvolto del liberalismo in materia religiosa è la laicità e la separazione tra Stato e Chiesa“. Obiettivi che Berlusconi non ha centrato, e non già perché impedito dalle “insuperabili resistenze dei partiti alleati”, dalle “resistenze” e dagli “ostacoli al cambiamento”, ma perché proprio da lui sono giunti comportamenti ed azioni in aperta contraddizione con l’impostazione liberale: si pensi al diktat bulgaro, alla plateale “cacciata” dal PDL del “dissidente” Fini, all’occhio di riguardo avuto nei confronti della Chiesa cattolica (si pensi all’esenzione dall’ICI, introdotta, come si può leggere qui e qui, proprio dal PDL), all’alleanza con partiti che nel paradigma liberale non si riconoscono; senza dimenticare le reiterate critiche al sistema politico italiano, che dovrebbe concedere un potere maggiore (i detrattori dicono: “un potere illimitato”) al Presidente del consiglio (questa è una delle occasioni in cui ha sostenuto quest’idea).
Quasi comico, infine, che un personaggio che domina la vita politica dell’Italia da almeno vent’anni lamenti “le resistenze e gli ostacoli al cambiamento”.
6.17:
Sono anche sicuro di avere rappresentato al meglio l’Italia nel mondo facendo in modo che divenisse protagonista e non subalterna alle grandi potenze mondiali, tutelando sempre i nostri interessi e la nostra dignità.
In realtà, all’estero pare si ricordino del Cavaliere più per le sue numerose gaffe che per la sua politica: basti come esempio il fatto che Time, il giorno in cui Berlusconi decise di “scendere nuovamente in campo” (8 dicembre 2012, neppure un mese dopo la caduta del Berlusconi IV) “celebrò” l’evento ricordando le sue dieci peggiori figuracce, e non certo l’importanza delle sue scelte in tema di politica interna o estera. E non parliamo del pessimo ricordo di lui che devono aver serbato molti politici europei.
Non solo: ma non definerei esattamente “protagonista” e “tutelato nella sua dignità”, un paese il cui presidente del Consiglio viene lasciato fuori dalla porta ad attendere che i suoi colleghi prendano decisioni che lo riguardano da vicino, o che deve supinamente accettare quanto il presidente della BCE gli “ordina” di fare per lettera.
(Prevengo un’obiezione: no, dopo non si è fatto meglio, per quanto riguarda la sovranità nazionale**. Ma dire: “gli altri hanno fatto peggio” è una specie di argomento “tu quoque” allargato).
6.36:
In cambio di tutto ciò, in cambio dell’impegno che ho profuso nel corso di quasi vent’anni a favore del mio paese, giunto ormai quasi al termine della mia vita attiva, ricevo in premio delle accuse e una sentenza fondata sul nulla assoluto che mi toglie addirittura la mia libertà personale e i miei diritti politici.
Cominciamo con l’evidenziare che, se è vero, come il Cavaliere ha sostenuto in precedenza, che egli ha cominciato a ricevere (false, a suo dire) accuse appena sceso in campo (ed abbiamo visto che in realtà ha avuto almeno un processo precedente), non ha senso accusare i giudici, come qui viene fatto, di “irriconoscenza”: quando hanno iniziato a “perseguitarlo”, infatti, questi non potevano sapere quanto “bene” lui avrebbe finito per fare all’Italia (senza considerare che sarebbe onesto riconoscere almeno che l’impegno politico di Berlusconi non ha fatto il bene solo dell’Italia).
Non si capisce poi l’uso dell'”addirittura”: è la legge che prevede quelle pene per quel reato. Dalle motivazioni della sentenza di primo grado (poi confermata in appello e quindi in Cassazione), infatti, si apprende che il reato contestato a Berlusconi è quello di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 74/00 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti); la pena prevista, nello stesso articolo, è la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni (Berlusconi ne ha ricevuti quattro, di cui tre indultati e quello restante che potrà essere scontato agli arresti domiciliari o con l’affidamento ai servizi sociali, faceva notare Flebo nel suo commento alla prima parte).
Per quanto riguarda l’interdizione ai pubblici uffici, è il secondo comma dell’articolo 12 dello stesso decreto legislativo a prevederla, per un periodo però non superiore ai tre anni: di qui, il rinvio alla Corte d’appello, che ne aveva assegnati cinque, perché “ridetermini la pena accessoria nei limiti temporali fissati dal citato articolo 12”. Seppure si vuole ammettere che esista un “complotto”, dunque, i “congiurati” hanno agito secondo la legge; e, laddove non sono stati abbastanza furbi da farlo, la Cassazione ha provveduto a farglielo notare.
7.08:
È così che l’Italia riconosce i sacrifici e l’impegno dei suoi concittadini migliori? È questa l’Italia che amiamo? È questa l’Italia che vogliamo? No di… no di sicuro.
Tre domande retoriche, che costuirebbero un efficace artificio, se Berlusconi non commettesse l’errore di rispondervi (per definizione, le domande retoriche non necessitano di risposta). Forse per questo, esita prima di pronunciare il “no di certo”.
Non si capisce, comunque, perché non dovrebbe essere desiderabile un paese in cui i giudici, nell’emettere una sentenza, non badano a chi sia e cosa abbia fatto l’imputato al di fuori di ciò che è rilevante in sede processuale: è una semplice applicazione del principio di uguaglianza, di cui all’articolo 3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali“.
7.29:
Per queste ragioni dobbiamo continuare la nostra battaglia di libertà restando in campo e chiamando con noi in campo, ad interessarsi del nostro comune destino, i giovani migliori e le energie migliori del mondo dell’imprenditoria, delle professioni e del lavoro.
Inizia qui, finalmente, la pars costruens; i toni assunti dal discorso si fanno militari: notare la scelta dei termini (“campo”, ripetuta due volte, “battaglia”). Inoltre, si fa più evidente il richiamo di Berlusconi all’americanismo, già interpretato in precedenza prendendo in prestito un luogo comune delle narrazioni a stelle e strisce (quello del self made man); qui, si notino “battaglia per la libertà” (che richiama uno degli slogan della War on terror, cui Berlusconi decise di partecipare entusiasticamente) e “comune destino” .
7.51:
Insieme a loro rimetteremo in campo Forza Italia e chiederemo agli italiani di darci quella maggioranza che è indispensabile per modernizzare il paese, per fare le riforme, a partire dalla più indispensabile delle riforme che è la riforma della giustizia per non essere più un paese sottoposto ad un esercizio assolutamente arbitrario del più terribile dei poteri: quello di privare un cittadino della sua libertà.
Questa frase riprende ed amplia quanto detto in quella precedente; l’unico appunto che mi sento di farle, posto che sulla priorità delle riforme ognuno può avere la sua opinione, è che il potere di privare un cittadino della sua libertà è certo un terribile potere, ma discende da un potere ancora più alto e terribile che è quello di chi decide il perché un cittadino possa essere privato della sua libertà; potere che proprio Berlusconi ha largamente esercitato negli anni precedenti.
8.28:
Dal male, come sempre, dobbiamo saper far uscire un bene.
Si compie qui uno scarto di registro, e da quello militaresco utilizzato nei due precedenti periodi, si passa ad un tono quasi mistico-teologico. Notare che male è preceduto da un articolo determinativo (l’il che forma la preposizione articolata dal): il cattivo uso della giustizia, ossia, la sua condanna è per Berlusconi non un male, ma il male, mentre la riforma che se ne potrà trarre è solo uno dei beni che si potrà ottenere se ci si affida nuovamente a lui. Un messaggio quasi millenaristico; o, più prosaicamente, già pre-elettorale (con buona pace delle asserzioni in senso contrario, su cui si ironizzava qui).
8.36:
Che i miei più di cinquanta processi e questa sentenza facciano aprire gli occhi a quegli italiani che sino ad ora non sono stati consapevoli della realtà del paese, ed hanno sprecato il loro voto o addirittura non hanno votato.
Il discorso prosegue nello stesso tono; i cinquanta processi vengono elevati a “segni” dell’imminente “crisi di democrazia” in cui precipiterà l’Italia se lasciata in mano a questa “magistratura” (che fa parte di un più ampio progetto della sinistra per prendere il potere), allo stesso modo in cui la trasformazione delle acque in sangue, la morte degli uomini per fuoco o le tenebre sono segni dell’imminente apocalisse; con una sola, importante differenza: mentre, nell’opera escatologica più importante della cristianità il “processo” non è più invertibile, qui sì; ed è ridicolmente semplice farlo: basta votare nuovamente per Berlusconi.
Di qui, l’amorevole rimprovero (in altra occasione Berlusconi aveva avuto parole ben più pesanti), a coloro che gli hanno fatto mancare il proprio voto (ed hanno preparato così l’avvento dell'”impero del male”) o che “addirittura non hanno votato”. Interessante notare che Berlusconi lasci intendere che i secondi siano “più colpevoli” dei primi, finendo così per appropriarsi, ancora una volta, di un tema tipico della sinistra (parlavo, forse non benissimo, già qui del fenomeno): quello della partecipazione.
Che siano questi due elementi (millenarismo e senso di partecipazione) ad essere argomenti centrali, è evidente quando, ad 8.57 Berlusconi afferma, con lodevole brevità:
Tutti insieme, se sapremo davvero essere uniti, se sapremo davvero stare insieme, recupereremo la vera libertà, per noi e per i nostri figli.
che conclude, dopo aver invitato tutti a radunarsi dietro di lui, l’uomo forte, il discorso con il più classico dei luoghi comuni del predicatore: quello dell’Eden in cui solo se si presterà orecchio a chi sa si potrà giungere. Dopodiché, c’è solo il tempo per un (9.13):
Viva l’Italia, viva Forza Italia.
Io, più banalmente, chiudo con un: ciao, grazie per avermi letto.
P.S.: siate clementi.
*la stessa persona che mi ha suggerito di aggiungere il tag “Contronarrazione”
**in effetti, in questo come in altri campi, era difficile far peggio di un governo Berlusconi. E Monti ci è riuscito.