Primo incontro de L’Accademia dell’incanto, la recensione sincera

Domenica scorsa (il 9 ottobre, per intenderci) sono stato a Roma per quella che credevo sarebbe stata l’ultima volta per parecchio tempo (alla fine di questa settimana mi trasferirò piuttosto lontano dalla capitale); ieri, invece, ho avuto modo di tornarci di nuovo e, come ogni volta, la città eterna non ha mancato di stupirmi.

Domenica scorsa, per altro, non ha mancato di stupirmi nemmeno ciò per cui ero andato a Roma: il primo incontro de L’accademia dell’incanto, l’iniziativa messa in piedi da Ivan Cenzi, curatore del meraviglioso blog Bizzarro Bazar (su cui dovete farvi un giro tipo subito).

Riassumo brevemente l’idea (potete comunque trovare ulteriori informazioni ed il calendario dei prossimi eventi qui): i blog riflettono sempre gli interessi di chi li scrive. Ciò che rende unico Bizzarro Bazar è la singolarità degli interessi di chi lo cura.

Ivan, infatti, è un coraggioso esploratore di quegli argomenti che vengono definiti liminali; traduco per i non accademici (ed anch’io ci ho messo parecchio tempo a collegare “liminale” a limen, che in latino significa confine): gli argomenti liminali sarebbero quegli argomenti che i più (forse per pigrizia più che per moralismo) definiscono schifosi.

Sessualità alternative? Ivan ne ha parlato. Storia e stranezze della pratica anatomica e medica? Ivan ci ha scritto numerosi articoli (non risparmiando particolari piuttosto macabri). Arte mortuaria, cimiteri curiosi, rapporto dell’uomo con la morte? Probabilmente è l’argomento più dibattuto su Bizzarro Bazar, ed il suo autore non ha mai mancato di mostrarne gli aspetti più inaspettati. E badate, mi sono limitato solo a qualche esempio banale e per così dire pubblicitario: troverete molto, molto di più se vi divertirete a scoprire gli angoli più reconditi di Bizzarro Bazar.

Ciò che ho scoperto con sorpresa io è che questa continua ricerca e divulgazione non prende mai la strada dello scabroso e del morboso. Ivan è capace di aprirci le porte del mondo che lo affascina trasmettendocene, appunto, il fascino, ma senza farci provare quei conati di vomito che invece vengono naturali sentendo come certi programmi del pomeriggio trattino di omicidi e reati minori che hanno un potere dirompente nettamente minore di quello dei temi cari ad Ivan.

Ma, se lo scopo non è suscitare lo scandalo (che, insegnava Luca Canali nel bellissimo “Nei pleniluni sereni”, sempre finisce per divenire pubblicità), allora perché Ivan Cenzi fa quello che fa? La risposta, per quanto possa sembrare incredibile, è di natura filologica: Ivan vuole riportare la parola meraviglia al suo iniziale significato e depurarla dell’aura zuccherosa e infantilistica che le si è appiccicata addosso nel corso dei secoli. Meraviglioso, inizialmente, definiva qualcosa che attraeva, sì, ma per le sue caratteristiche “mostruose” più che per la sua armonia e la sua bellezza; la meraviglia è, propriamente, quel sentimento che si prova di fronte a qualcosa di kantianamente sublime (altro termine che ha subito una netta corruzione di significato): qualcosa, cioè, che ci attrae per la sua grandiosità e contemporaneamente ci terrorizza per la sua pericolosità. Non per niente, nel primo incontro dell’Accademia, Ivan, chiamato ovviamente a fare gli onori di casa, ha parlato proprio di questo concetto, mostrando “Il viaggiatore sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich, che appunto suscita questi sentimenti (o per meglio dire suscitava, visto che duecento anni di iperesposizione l’hanno ormai normalizzato).

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Il viaggiatore sul mare di nebbia. Credit: Caspar David Friedrich

Per come ho potuto intenderla io, lo scopo dell’Accademia, cui partecipano molti nomi “noti” di quelle zone liminali del sapere (dagli illusionisti agli antropologi, dai tatuatori agli esperti di sesso non convenzionale) è quello di portare questo sentimento fuori dal mondo del Web, che ha a volte la sgradevole tendenza a rendere tutto eccessivamente pulito, inoffensivo; è quello di far immergere coloro a cui si rivolge nel mondo che descrive. Dopo aver assistito al primo incontro, posso dire, sinceramente, che Ivan sia riuscito nell’impresa? Sì, posso dirlo. E sono sicuro che gli altri presenti confermeranno.

Intanto, la location scelta per l’evento è di per se incredibilmente suggestiva: la galleria Mirabilia, di Giano Del Bufalo, è l’incarnazione moderna perfetta delle wunderkammer, le “camere delle meraviglie” in cui gli intellettuali del Cinquecento e del Seicento raccoglievano tutte le “curiosità” in cui si imbattevano nel corso dei loro viaggi e dei loro studi. Una delle più grandi di queste wunderkammer venne istituita, per altro, proprio a Roma, nei locali del Collegio Romano (attualmente, sede del liceo Visconti, non lontano da piazza Venezia). La mise su Attanasius Kircher, uno studioso gesuita (ne ho già parlato qui).

All’interno di Mirabilia, senza altro scopo che quello di condividerlo con ogni curioso che passi di lì, il proprietario appena trentenne ha raccolto tutto quanto di sorprendente e insieme perturbante la natura e l’arte abbiano prodotto nel corso della loro millenaria storia: aprite i link per avere un assaggio di ciò che Del Bufalo mette in mostra. Lì dentro, mi sono trovato a pensare che per gli uomini di cinque secoli fa il corallo era meraviglioso perché non avevano idea di cosa fosse; noi oggi lo sappiamo fin troppo bene e sappiamo pure che lo stiamo distruggendo: eppure, come ben insegna Italo Calvino, “anche se trovi la spiegazione delle cose, non per questo le cose cessano di essere meravigliose”.

Non posso negarlo: una parte di me ha pensato che le wunderkammer non erano, nel Seicento, solo monumenti alla scienza nascente, e che allo stesso modo Mirabilia non è solo un regalo a chi manifesta interessi singolari, ma anche, gioco forza, un monumento alla ricchezza ed alla cultura del suo proprietario. Quella parte di me, devo dire, è stato rinchiuso in un angolino del mio cervello, quando mi sono trovato a dire il mio nome ad una gentile ragazza che stava seduta tra le (enormi) zanne di un elefante africano.

Ivan, poi, come si poteva sospettare leggendolo, è uno straordinario padrone di casa; in più, è in possesso di una cultura davvero sconfinata, segnatamente (ma sospetto non solo) nelle materie che ama. In appena dieci minuti, ci ha preso per mano ed accompagnato nei reami a volte oscuri in cui si è avventurato forse per primo: non posso dire per gli altri, ma io personalmente ne sono uscito con un piacevole senso di vertigine. Soprattutto perché mi sono reso conto che non c’è nulla di strano, di inquietante quando non addirittura di malato a provare certi interessi. Nell’Ottocento, probabilmente, sarei stato io a guardare con un occhio severo chi questi interessi non li avesse avuti (vedi osservazione a fine post).

Infine, be’, il piatto forte della serata: l’esibizione del meraviglioso Francesco Busani, un eccezionale mentalista emiliano. Avete presente quei mentalisti che basano tutto il loro successo sulla magniloquenza, sulla grandiosità della messa in scena, sulla convinzione con cui sostengono di possedere poteri che ai comuni mortali sono negati? Ecco, scordateveli: Busani non somiglia loro nemmeno un po’. No, qui abbiamo di fronte piuttosto un “narratore con gli effetti speciali” (ho rubato la definizione a Mariano Tomatis); uno che crede che l’incredibile accadere di fenomeni apparentemente impossibili serva a trasmettere un messaggio che resterà indimenticabile, piuttosto che a gonfiare l’ego del performer. Domenica sera ha proposto quattro effetti, uno più impossibile dell’altro; ha chiamato in scena demoni, fantasmi e Raffaella Carrà (giuro) col solo scopo di mostrarci che anche in ciò che esiste di più orrido può esserci un motivo di sorpresa, di fascinazione. Chiunque abbia guardato quello spettacolo, ne sono sicuro, ha compreso perché tante persone finiscono per innamorarsi del demonio; e posso testimoniarlo a viva voce io, che sono stato assistente del mentalista in un numero che ruotava, appunto, attorno ad un demone (di cui, come promesso, non rivelerò il nome).

Una serata perfetta, dunque? Sì… non fosse per un motivo. E quel motivo è il pubblico.

Intendiamoci, non sono stato abbastanza con le persone presenti per giudicarle, e anzi devo dire che quelli con cui ho parlato li ho trovati piuttosto gradevoli. Tuttavia, guardando qualcuno, ho avuto l’impressione che fossero lì presenti, acconciati in un certo modo, per testimoniare orgogliosamente la propria “stranezza”, per affermare agli occhi del mondo: ecco, guardatemi, io sono diverso da voi!

Un’altra importante lezione che ho imparato domenica scorsa da Ivan, tuttavia, è che non c’è bisogno di rinchiuderci volontariamente negli stessi ghetti in cui gli altri ci sbattono; quella teoria pirandelliana per cui, se gli altri ci mettono in faccia una maschera, allora l’unica soluzione è portarla con fierezza, sarà drammaticamente efficace (e lo è), ma nella vita di tutti i giorni non è applicabile. Se facciamo così, l’unico effetto che otteniamo è quello di isolarci, di farci mettere in gabbia: che poi è quello che i nostri “avversari” volevano.

Ivan Cenzi portava un sobrio abito nero con un curioso fiore all’occhiello e, sì, è uno che si interessa di sculture realizzate con i cadaveri. Non ha bisogno di portar scritto in fronte che nella vita fa questo, non ha bisogno che gli altri lo segnino a dita dicendo: ehi, quello è quello che ha parlato della Suicida punita di Padova! Già, ne ha parlato: e vorrei potervi spiegare con quanto amore ne ha parlato, di questo cadavere recuperato da un fiume, imbalsamato e poi trasformato in una scultura con un messaggio “morale” (che vinse per altro due premi all’Esposizione Universale di Parigi del 1889). Segno che quell’argomento lo affascina davvero, e che non è per lui solo una scusa per ribellarsi all’educazione borghese dei genitori.

I quali, per altro, guardano tanto malevolmente quello che fa, da essere stati presenti alla serata, apprezzando tutto moltissimo. Due fantastici signori di (ad occhio) almeno sessant’anni.

Impariamo.

Chi fosse interessato, trova maggiori indicazioni qui.

8 thoughts on “Primo incontro de L’Accademia dell’incanto, la recensione sincera

  1. Lo avevo già letto ieri sera questo tuo post, ti dirò che sono mondi a me lontani, ma non sapevo esistessero persone che creano sculture dalle salme. Chissà da dove arrivano certe passioni.

  2. Posso confermare tutto quello che hai scritto , visto che ero presente anche io! Davvero un ottimo riassunto di una bellissima serata! Domenica scorsa non ti ho visto, ma comunque posso affermare che è stato un interessante viaggio nei meandri della morte filtrato dal folklore siciliano!

  3. I genitori non fanno testo: per i figli fanno questo e oltre! Te lo dico io che negli anni ho assistito con entusiasmo e partecipazione a tutte le esibizioni di mia figlia nelle varie attività sportivo-musical-culturali in ci si è cimentata. E giuro che 3 giorni di tunf-tunf-tunf-tunf ininterrotto in un palasport ai confini della Moravia-Slesia per i mondiali di disco dance, valgono come una wunderkammer!

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