J. K. Rowling – Harry Potter e la Camera dei segreti

(Attenzione: contiene spoiler)

Facciamo lo stesso gioco dell’altra volta, d’accordo? Cominciamo questa recensione con l’elenco dei difetti della Camera dei segreti, il quale per altro ha una caratteristica curiosa ed interessante (almeno per me, che sono appassionato dell’argomento): è un “elenco degenere”.

Contiene, infatti, un solo elemento; il quale, a sua volta, ha una caratteristica curiosa ed interessante. Tranquilli, non è un racconto di Achille Campanile.

La caratteristica in questione è che tale difetto era già presente nell’elenco di quelli che avevo attribuito alla Pietra filosofale; quell’elenco (controllate pure, se non ci credete) era decisamente più nutrito, e questo significa qualcosa: che, a distanza di un solo libro, la Rowling ha trasformato quello che era soltanto un talento in una professione.

I punti deboli che appesantivano il primo volume della saga, figli della sua inesperienza, sono qui quasi del tutto scomparsi, senza che a patirne siano i punti di forza; i quali, ripetiamolo, a dodici anni trasformarono quel libro nella più sconvolgente esperienza narrativa che avessi mai vissuto. La mamma di Harry, con velocità sorprendente, impara a conoscere gli attrezzi del mestiere ed a padroneggiarli; e, anzi, riesce con intelligenza a ribaltare quello che, ai miei occhi di lettore adulto, è una delle pecche maggiori della Pietra filosofale (il suo tono eccessivamente infantile) in un “difetto intenzionale”: in questo libro, quell’aria da “favola della buona notte” si respira ancora, ma le atmosfere iniziano a farsi più cupe, alcune scene sono genuinamente orrorifiche (la voce che minaccia omicidi e che solo Harry può sentire, ad esempio) ed i rapporti con gli adulti più conflittuali e problematici, pur se ancora non ai livelli a cui lo saranno nell’Ordine della fenice e nel Principe mezzosangue. L’impressione che se ne ricava è che l’autrice stia cercando, sottilmente, di costruire la sua opera come se fosse un essere vivente, che deve assomigliare tanto agli “esseri viventi” che la abitano (i personaggi) quanto a quelli a cui è destinata, e cioè i bambini. Come questi, la complessa creazione della Rowling cresce, e cresce a vista d’occhio.

Questa è la buona notizia; la cattiva notizia, di converso, è che quell’unico difetto presente tra queste pagine è un difetto piuttosto pesante (che la Rowling non riuscirà mai a correggere del tutto): anche qui, come già nella Pietra filosofale, il finale si risolve in un colpo di scena (seguito, c’è da dirlo, da un duello ad elevato ritmo, che richiama uno dei temi cardine della letteratura: uomo contro natura). Intendiamoci: questo non è un male di per se; uno dei miei scrittori preferiti è Fredric Brown, che su questa caratteristica ha costruito una fortunata carriera. Il punto è che quando un colpo di scena viene costruito per essere il culmine di un’opera lunga ed impegnativa come un romanzo, questo non solo non dev’essere ingenuo e scontato (e qui non lo è), ma deve anche rispettare quella regola aurea della narrativa che è il fucile di Cechov. Questo colpo di scena non lo fa.

Nell’Ottocento, il grande drammaturgo russo Anton Cechov riassunse in una battuta divenuta iconica la sua ricetta per il dramma ideale: “se c’è un fucile sulla mensola del caminetto nel primo atto, nel terzo atto quel fucile spara”; personalmente, ho sempre interpretato questa regola anche nel verso opposto: ossia, se quel fucile deve sparare nel terzo atto, nel primo dev’essere sul caminetto.

Ora: il punto di svolta nella trama di questo libro è la scoperta che tutte le “quasi morti” avvenute ad Hogwarts durante l’anno scolastico sono da attribuirsi ad un basilisco (molto sfortunato, tra parentesi). Allora, perché diavolo durante la trama nessuno fa mai riferimento all’esistenza di una bestia siffatta? Accidenti, Joanne: hai a disposizione la biblioteca più enorme del mondo magico, i due maghi più colti di tutti i tempi (Silente ed Hermione Granger) ed il mezzo gigante più innamorato di belve immonde che si sia mai visto, possibile che tu non riesca mai a buttare dentro una citazione, un accenno, un libro che casca da una mensola sulla testa di Ron e che si apre proprio alla pagina che mostra dei ragni scappar via da una biscia d’acqua lunga dodici metri e con rasoi al posto dei denti? A che serve, a questo punto, seminare il libro di obliqui riferimenti ai galli che vengono strangolati, ai ragni che sono spariti da Hogwarts, al fatto che ci sia sempre un modo (una pozzanghera, una macchinetta fotografica, uno specchietto, un fantasma…) per non guardare direttamente negli occhi un serpente dallo sguardo assassino, se non parli un po’ di una leggenda che, è presumibile, i tuoi giovani lettori non conoscono?

Trovo curioso, per altro, che una simile caduta di stile avvenga nel libro che carica ed arma alcuni dei fucili di Cechov più precisi dell’intera saga: è qui che veniamo a sapere che Silente possiede una fenice, qui che scopriamo che esiste una pozione che si chiama Polisucco, qui che ci viene detto che solo un vero Grifondoro può estrarre la spada del fondatore di Hogwarts dal Cappello Parlante, qui che Voldemort si rivela essere stato un tempo un essere umano non dissimile dagli altri, qui che ci imbattiamo nel primo degli Horcrux. Gli ultimi due punti mi sembrano particolarmente importanti; in realtà, mi sembra importante (forse più degli altri due) anche il terzultimo punto, ma che a me piaccia Neville e che sia stato immensamente felice quando anche lui ha avuto il suo momento di gloria (e che momento di gloria!) è una questione puramente personale.

La Pietra Filosofale era un libro in cui, tutto sommato, ogni cosa avveniva qui ed ora; esisteva un passato, certo, e veniva anzi continuamente rievocato, ma sembrava non poter avere alcuna influenza su quanto i personaggi agivano nel loro tempo. Di fronte allo Specchio delle Brame (che, non per nulla, è una delle sue invenzioni meno memorabili) la Rowling metteva in bocca a Silente severe parole di ammonimento nei confronti di Harry, che stava iniziando a vivere nelle proprie fantasie e nei propri ricordi. Come sempre, avremmo poi scoperto, Silente stava rivolgendo quel rimprovero anzitutto a se stesso; ma non è questo il punto: il punto è che la Camera dei segreti è il primo dei romanzi ambientato nel mondo dei maghi e dentro la storia dei maghi; non riusciremmo appieno a capire cosa succede mentre leggiamo, se non sapessimo quanto quanto è accaduto fuori dai libri. Non parlo soltanto delle azioni del Voldemort sedicenne: parlo anche della Storia (sì, con la s maiuscola) che ha portato molti ad accettare le idee di chi quella Camera l’ha aperta, liberando il mostro che ci viveva dentro. E, che ci viene fatto capire, non è solo quello con le squame, che cercherà di fare un sol boccone del braccio del protagonista. Ecco, la Camera dei segreti è anche il primo libro della saga che prende posizione, che inizia a lanciare messaggi, pur senza mai dimenticarsi che il suo primo fine (il suo unico fine, anzi) è quello di raccontare una storia.

Nella recensione della Pietra filosofale, avevo scritto che la Rowling pareva non essere ancora la stessa scrittrice che in futuro avrebbe creato:

dei personaggi che sembrano pronti a saltar fuori dalla pagina e stringerti la mano

In questo volume, esistono già, invece, dei personaggi che, sia pur descritti in poche pagine (a volte, in poche righe), sembrano per davvero persone vere, “di carne e sangue, non di carta e inchiostro”; pensate al professor Allock, ad esempio… anzi no, non ci pensate, che non è dei personaggi di questo romanzo che voglio parlare. No, voglio piuttosto notare come quella frase suoni sinistramente allusiva, riletta oggi, che parlo della Camera dei segreti e del diario in cui Tom Riddle aveva rinchiuso una parte di se, pronto a saltar fuori (appunto) non appena avesse trovato il momento opportuno per farlo.

Non saprei dire se già intorno ai tredici anni manifestassi quell’attrazione nei confronti dei temi del ricordo e della memoria che mi accompagna ancora adesso, o se non sia stata piuttosto (anche) l’invenzione del diario di Tom Riddle a far nascere in me l’interesse: fatto sta che trovai allora, e che trovo ancora adesso, semplicemente divina l’idea di un ricordo che pensa ed agisce decine di anni dopo che il suo proprietario è riuscito ad infonderlo dentro un oggetto inanimato e che, non appena qualcuno gliene da la possibilità, riesce a materializzarsi ed a riprendere corpo, divenendo, così, nuovamente reale. Lo stesso Silente, nel Principe mezzosangue, dichiarerà di essere rimasto grandemente stupito, scoprendo cosa era il diario, e che cosa faceva. Quell’idea è qualcosa di magico; anzi, di più: è qualcosa capace di trascendere il magico, di stupire perfino il mago migliore di sempre. E questo qualcosa di così eccezionale è frutto delle straordinarie capacità di un mago oscuro: segno che nell’universo rowlingiano nulla è mai completamente bianco o completamente nero.

(Sottolineo poi, riguardo il diario, una battuta del signor Weasley: “Ginny, quante volte ti ho detto di non fidarti di qualcosa che pensa, se non puoi vedere dove ha il cervello?”. Non credo che la Rowling prevedesse, nei tempi in cui la scrisse, che la frase sarebbe divenuta tanto attuale ai giorni nostri; in caso contrario, dev’essere davvero dotata di poteri magici).

Giunto al termine di questa recensione, mi accorgo di aver quasi commesso lo stesso errore di chi ha gestito le trasposizioni cinematografiche dei libri che seguono questo: mi sono quasi scordato di Dobby, che qui fa la sua comparsa, e che è importante per due motivi.

Innanzitutto, perché il punto di vista di Dobby è il nostro. Come noi, Dobby non ha vissuto personalmente le azioni della prima guerra contro Voldemort, non l’ha combattuta, non c’è stato; Dobby, la storia, l’ha solo sentita raccontare. Avendola sentita raccontare dai Malfoy, poi, che sono dei cialtroni ma almeno interpretano fino in fondo il ruolo che viene loro assegnato, si può solo immaginare (dato anche lo status della sua specie) quale sforzo abbia dovuto fare, per riuscire ad ammettere con se stesso che Harry Potter (esattamente come per noi) è il suo eroe.

In secondo luogo, Dobby è un puro: incapace di mentire e di non aiutare qualcuno che sente meriti il suo aiuto. La sua purezza, la sua onestà, il suo coraggio: pallini e polvere pirica di un altro fucile di Cechov, di cui parleremo solo tra qualche settimana. Ma che, già ora… scusate, vado a prendere un fazzoletto. Maledetto raffreddore!

7 thoughts on “J. K. Rowling – Harry Potter e la Camera dei segreti

  1. Gran bel post, ma non capisco perché non l’hai segnalato a Homemademamma, questa settimana.
    La storia del fucile di Checov (che ignoravo completamente prima di leggerti ma in effetti è molto savia)… ecco, il buon giallista impara a farlo intravedere di striscio, o in modo che non si capisca che è un fucile ma si pensi che sia il gatto dei vicini… cose così, e più avanti Rowling ci riesce benissimo, nel terzo volume in particolare è davvero serpentinissima e bifidissima. Ma qui, è vero, il problema c’è. Già il basilisco non è esattamente un concetto tra i più noti: voglio dire, ho una laurea in latino medievale e ho pure sfogliato qualche bestiario, ma un accidente se l’avevo sentito nominare prima di leggere del suo arrivo a Hogwarts. Insomma, il lettore non ha molte speranze.
    Invece ho trovato assolutamente geniale il modo in cui vengono gestite le due ragazze innamorate di Harry, che sembrano lì solo per far vedere come Harry sia gentile e piuttosto imbranato con le ragazze che se lo filano, due figurine piuttosto convenzionali… e invece Mirtilla è parte in causa (e a quello, volendo, un po’ si poteva arrivare confrontando qualche data) e Ginny via via si svilupperà in un modo davvero particolarissimo.
    Bene, adesso aspetto il prossimo venerdì, vusto che il terzo è uno dei miei sette libri preferiti della saga ^_^

  2. Secondo me la regola del fucile deve soprattutto funzionare al contrario: quando in una storia c’è un fucile che spara e che non hai mai visto prima, non va per niente bene. Commento solo su questo perché non ho un ricordo fresco del libro, ma devo dire che mi hai convinto a leggere tutta la saga.

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