Andare a farci un giro

Apprezzo molto i post che il mio amico Andrea, in arte Kikkanokekka, dedica alla geografia ed alle sue discipline ancillari (toponomastica, cartografia, vessillologia…); ogni volta che ne vedo comparire uno sul mio reader, dedicato alle bandiere più singolari del globo, ad una qualche curiosa isola del mare del Nord, o alle motivazioni che hanno spinto un’amministrazione comunale a chiamare una via in un modo e non in un altro, so che, ad un certo punto, mi ritroverò a sorprendermi di quante meraviglie il nostro mondo cela.

È con questo spirito che, qualche giorno fa, ho intrapreso la lettura di un suo post intitolato Via Anelli; quel post, è poi emerso, parlava di tutt’altro, e riguardo quel “tutt’altro” io ed il suo autore abbiamo intavolato una discussione: talvolta capita, ed anzi spero che Andrea non me ne voglia se riporto ed espando il mio punto di vista qui, in uno spazio più ampio rispetto a quello di una sezione commenti, e di fronte a voi che, di solito, mostrate interesse per i miei punti di vista (per motivazioni che mi restano oscure, ma presumo che ognuno abbia diritto alle sue perversioni).

La storia di via Anelli, a Padova, di cui parlava il post di Andrea, è una storia esemplare, sia per il suo svolgimento, sia per la cornice narrativa in cui viene di solito inserita, magari anche inconsapevolmente; nata come “dormitorio per studenti”, a causa del sostanziale disinteresse nei suoi confronti venne successivamente abbandonata e dalle istituzioni, e dai proprietari delle abitazioni che vi sorgevano; queste cominciarono ad essere occupate, se non vado errato verso la fine degli anni Novanta, da tutta quell’ampia umanità che vive alla periferia del capitalismo in cui noi prosperiamo e ci ingrassiamo. A sentire Andrea, all’inizio del Duemila via Anelli era una specie di “Bronx di Padova”, popolata da prostitute e spacciatori di droga che non gradivano le visite che, di tanto in tanto (parecchio spesso, sospetto), la polizia decideva di compiervi, e che risultavano in (frequenti, almeno secondo certi giornali dell’epoca che ho consultato) episodi di “guerriglia urbana”.

Che uno spacciatore preferisca non incontrare un poliziotto è, credo, una verità che non dovrebbe sorprendere nessuno; non di meno, l’amministrazione comunale padovana sfruttò questa banale circostanza per costruire attorno a via Anelli un muro di lamiera, come a dire che si interessava completamente di quanto accadeva in essa, purché i suoi abitanti non disturbassero l’immagine di Padova che voleva il mondo vedesse.

Andrea racconta quei giorni con queste parole (invero, piuttosto misurate):

Il complesso residenziale lentamente passò verso uno stato di completo degrado, diventando di fatto una zona franca[…]A soffrire maggiormente sono stati gli abitanti delle vie limitrofe, ma anche gli esercizi commerciali della zona hanno dovuto arrendersi di fronte ad una realtà completamente sfuggita di mano.

Il finale, tuttavia, è luminoso ed apre alla redenzione:

La zona ora verrà completamente riqualificata. Tra pochi anni sorgerà, al posto del “Complesso Serenissima”, la nuova sede della Questura di Padova. Attorno sorgeranno parcheggi, un’area verde ed alcuni bar.

Ecco, è stato su quest’ultimo punto, che le nostre opinioni hanno iniziato a divergere.

Io ritengo infatti che portare una questura (scelta oserei dire illuminante) e qualche bar in una zona poco “appetibile” di una città non sia “riqualificare” alcunché, se non i conti in banca di chi quei bar li aprirà; rigetto anzi tale retorica ancora più a monte, più o meno da quando si inizia ad utilizzare la parola degrado per definire quelle situazioni in cui i poveri, i disgraziati, i rifiutati del e dal benessere non se ne stanno buoni buoni in un dormitorio (che spesso assomiglia ad un carcere) ad attendere che le nostre elemosine vadano a salvarli, ma fanno qualcosa (di sbagliato, forse) pur di non morire di fame, o di non dover passare all’addiaccio le notti padovane; in altri termini, secondo me il degrado non risiede nel fatto che queste persone abbiano occupato delle case, ma nel fatto che in una società esista qualcuno che può permettersi di compare una casa e poi di lasciarla marcire, e qualcun altro che rischia di morire di fame, di freddo, di polmonite o delle conseguenze di una frattura di arto inferiore, Cristo santo. Mentre le istituzioni, il cui scopo sarebbe quello di rimuovere le diseguaglianze (perché, altrimenti, che senso hanno di esistere?), dichiarano guerra a questi ultimi.

Mi si dirà, forse, che le istituzioni non hanno dichiarato guerra ai poveri, ma all’illegalità; rispondo che è quasi la stessa cosa, visto che, in Italia come altrove, la legge è costruita apposta per colpire gli ultimi, e per trattare con bonomia e clemenza truffe milionarie e disastri ambientali; ed aggiungo che spero che le frequenti incursioni poliziesche in via Anelli (che ad un certo punto avranno cominciato ad essere condotte in un assetto coerente con la “guerriglia urbana presunta”, come se lì dentro vivessero dei nemici e non delle persone) fossero condotte allo scopo di “far sentire più sicure le persone”, e non veramente per sconfiggere i racket della droga e delle prostituzione. I cui padroni vivevano e vivono altrove, e di cui il piccolo spacciatore (non di rado, tossicodipendente a sua volta) e, soprattutto, la singola prostituta sono vittime.

D’accordo, si potrebbe obiettare ancora, ma per quanto possa esserci stato spinto dalle circostanze, per quanto possa essere sfruttato da forze assai più grandi di lui, uno spacciatore è per sempre un venditore di morte. Ciò è innegabile: ma anche un tabaccaio lo è. Anche un operaio della FIAT sta contribuendo al riscaldamento globale che prima o poi ci ucciderà tutti. Anche chi lavora alla Beretta produce strumenti di morte. Anche… potrei continuare, ma credo abbiate compreso il senso di queste mie considerazioni, tese a spiegare perché tutti odiamo spacciatori, prostitute, piccola manovalanza criminale, assai più di quanto non odiamo i loro analoghi (intendiamoci: altrettanto incolpevoli) del “mondo normale”: perché siamo talmente ricchi e grassi, e contemporaneamente è stato fatto talmente tanto per incattivirci, che non riusciamo più a comprendere che schifosi privilegiati del cazzo che siamo; che non riusciamo più a capire quanta fortuna abbiamo avuto a non incontrare mai sulla nostra strada l’eroina, o a non dover mai scegliere tra spacciarla, l’eroina, e sopravvivere.

E così, quando guardiamo a via Anelli, non vediamo un’umanità sofferente che grida aiuto, e che avremmo il dovere di aiutare; vediamo solo i “poveri cittadini” che non possono godere pienamente delle loro proprietà. Ho scritto qualche volta, in rari impeti di ottimismo, che la soluzione a questa nostra grettezza potrebbe essere, come dice Atticus Finch nel magnifico Il buio oltre la siepe, “mettersi i panni di qualcun altro ed andare a farci un giro”; i neuroscienziati la chiamano teoria della mente, ed è la capacità di vedere il mondo con gli occhi di qualcun altro: dicono sia quello che manca agli autistici, quello che li rende anaffettivi e disinteressati nei confronti delle altre persone, la capacità di rendersi conto che la vita, vista da via Anelli, è diversa rispetto a quella vista, che so, già da via Venezia.

Intellettuali più titolati di me hanno provato più volte a definire il mondo occidentale con un solo aggettivo; se, indegnamente, volessi unirmi a questo gioco, è questo che proporrei: il mondo occidentale è, in questo senso, un mondo autistico.

(senza rancore, Andrea: è solo una divergenza d’opinioni che, credo, avrei avuto con quasi qualsiasi altra persona sulla faccia della Terra).

23 thoughts on “Andare a farci un giro

  1. Non è una divergenza completa, tutt’altro.
    Anzi, ti ringrazio per le belle parole e per l’attenzione che mi dedichi.
    Io non riesco sempre ad argomentare i tuoi “post” (orrenda parola, tra l’altro, spesso i tuoi – ma anche i miei – sono dei veri e propri temi (o trattati, o articoli)), perché sono molto personali nella loro visione, e invero già esaurienti di loro.

    Ad ogni modo, sappilo, via Anelli per Padova è una sconfitta per tutti.
    Per i proprietari, che prima hanno visto occupato il loro stabile, e poi ne sono stati espropriati.
    Per gli occupanti, che hanno comunque perso un alloggio, e da qualche parte avranno comunque dovuto andare a vivere.
    Per la popolazione, con un intero quartiere di fatto off-limits.
    Per le autorità cittadine, incapaci di tamponare la situazione e trovarne una soluzione.

    Due appunti, secondo me molto importanti:
    1- gli stabili sono stati evacuati 4-5 anni fa e riversano in stato pietosissimo
    2- il quartiere non è affatto periferico. Siamo in pieno Comune di Padova, anche se non in centro storico, la zona è trafficatissima e molto popolosa

    Credo, Gaber, che nessuno di noi possa dire di avere la soluzione “definitiva” ed “Indolore” per risolvere la questione. Tu ne fai una questione quasi sociologica (e lo trovo del tutto corretto) io invece (in modo molto più condensato) tentavo di darne un’ottica “pratica”.

    La domanda (mia e delle istituzioni) è: abbiamo un quartiere disabitato in pessime condizioni, che facciamo?

    Non credo che la costruzione della Questura, un prato con fontana ed un bar (UNO) possa significare alcunché. Di fatto siamo ancora in debito, perché di bar nella zona ne chiusero ben 3, oltre ad altri negozi.

    Quanto tu hai scritto, cioè “ricostruire” o “ristrutturare”, sono percorsi impossibili: nessuno che conosce Via Anelli metterebbe un solo Euro per “ricostruire” o “ristrutturare” in quella zona, anche solo per la “nomea” che si è fatta.

    • Se posso essere sincero, questo continuo insistere sulla questione “pratica” mi sembra sia un modo per far credere che ci sia una soluzione giusta ed una sbagliata: ma qualunque scelta, in questo contesto, è una scelta politica. Ed il comune di Padova, in questo caso, ha affermato una politica ben chiara.

      Perché, cosa sarebbe cambiato se fosse stato un quartiere periferico?

      • “cosa sarebbe cambiato se fosse stato un quartiere periferico?”

        Era solo per puntualizzare.
        Il degrado in periferia fa meno notizia del degrado in piena città.
        O no?

        “questo continuo insistere sulla questione “pratica””
        Ma, rendiamoci conto, la Amministrazione Comunale doveva prendere una decisione “pratica”, senza sofismi.

        • E questo è parte del problema politico: le periferie possono anche far schifo, tanto ci devono vivere i poveri.

          E quindi? Anche decidere di concedere quelle case a chi ci viveva espropriandole ai proprietari era una soluzione pratica. Anche concedere un lavoro diverso agli spacciatori. Ma non è stato fatto, per scelta.

    • beh, perdonate l’intromissione: “abbiamo un quartiere disabitato in pessime condizioni, che facciamo?”. permettimi almeno di obiettare che 1. sgomberare 2. erigere muri 3. rasarlo al suolo non è quantomeno l’unica soluzione.
      posso portare un parallelismo? (perdonami eventuali imprecisioni nella ricostruzione) time square a new york. era via anelli. poi un giorno è arrivati il negozio disney store, che ha “scommesso” sul cambiamento. adesso è time square, e sticazzi al degrado…
      p.s. comunque, nota di apprezzamento per i post topografici. è parecchio che non passavo dalle tue parti, sorry

      • Ma guarda che io la penso uguale.
        Non ho mai espresso pareri favorevoli a quanto accaduto.
        Rimarcavo solo il fatto che chi vive nei paraggi è bel lieto di mettere nel dimenticatoio anni obiettivamente difficili, e certamente in questo momento (ripeto: in questo momento) tra l’avere 5 edifici in pessime condizioni e avere la Questura, anch’io preferisco avere la Questura.

        • Quel che dico io, invece, è che avrei preferito (visto che tanto l’esproprio è stato comunque effettuato) che quei cinque palazzi fossero trasformati in palazzi abitabili e ati a chi ne aveva bisogno, vista l’emergenza abitativa.

      • Ma per me nemmeno quello è trovare una soluzione al degrado: è trasformare una via in un parco giochi. È gentrificazione. Se le persone se ne sono andate da Times Square, è perché viverci costava troppo.

        • No, scusa, mi sono spiegato male. L’esempio della metro è più calzante: tra due metropolitane quella in cui le persone si sentono più “sicure”, passami il termine, non è quella dov’è meno degrado, ma quella più pulita. Altro esempio è il paese dell’Appennino ripopolato grazie ai fiori sui balconi. Intendo dire che la risposta al degrado può, semplicemente, essere la bellezza (il negozio Disney effettivamente era fuorviante)

            • Su questo sono meno convinto: c’è una misura (soggettiva, per carità) che definisce se non il ben-essere collettivo quantomeno quello individuale. Degrado è tutto ciò che non mette gli individui nella medesima condizione di accesso alle risorse (potenzialmente raggiungibili) ed è qualcosa che ha, purtroppo, radici ataviche: possiamo rifiutare idealmente che questo succeda ma non possiamo non prendere atto del fatto che esista…

              • Ancora, il problema non è biologico, ma politico: è applicare la categoria del degrado per allontanare i poveri dal centro città. E poi, credo che tale parola venga utilizzata troppo spesso, abbassando la soglia per cui noi iniziamo a percepire qualcosa come “degrado”… ed a chiedere che le istituzioni “facciano qualcosa” (=tolgano i poveri da davanti ai nostri occhi).

      • Eh, intromissione per intromissione, mi ci butto anche io (che condivido anche qualche vicinanza geografica).
        Times Square a New York e’ cambiata non per una “scommessa”, ma per un preciso piano urbanistico teso a “ripulire” il quartiere, renderlo appetibile alla massa “onesta”. Times Square e’ cambiata perche’ si e’ lavorato in concerto fra forze dell’ordine che hanno “ramazzato via” tutto quello che non era socialmente accettabile e imprese commerciali che l’hanno sostituito. Insomma, e’ stato un perfetto esempio di sinergia Stato + capitale, capitalismo all’opera nel piu’ evidente dei modi.
        Chi o cosa ci dice che spostare la questura a via Anelli non seguisse esattamente la stessa logica? (personalmente, credo fortemente di si’)

  2. Pingback: le mie valli resilienti – bortoblog 40 – cor-pus 15

  3. Chiedo scusa, mi introduco anch’io nella discussione, non ripeto cose già dette…però voglio dire una cosa: alla domanda quanti spacciatori lo fanno per scelta e quanti per necessità, ti posso assicurare che lo fanno per scelta. Non voglio sembrare salviniana o fascista o peggio (niente di più lontano dal mio pensiero), ma te lo dico dal punto di vista di chi ha lavorato in carcere e che ha conosciuto diversi spacciatori. Davanti alla scelta di lavorare 8 ore al giorno e portare a casa 1000, 1500, 2000 euro (quello che è, e quello che faccio io, e penso anche voi) o spacciare, la risposta è: meglio spacciare.
    E ti dirò anche che non hanno la percezione di fare qualcosa di male, è il loro lavoro, sanno che c’è il rischio e lo accettano (salvo poi lamentarsi quando vengono condannati).
    So che mi odieranno tutti adesso, ma questa è la mia esperienza e l’ho condivisa

    • Grazie per averla condivisa. Non credo comunque “alteri” la mia considerazione di fondo: combattere il piccolo spacciatore non è combattere “la droga”; non è la presenza dei piccoli spacciatori a “fare il degrado”.

  4. Io condivido totalmente il punto di vista del padrone di casa. La mia personale soluzione sarebbe prendere i casi umani, uno per uno, studiarli CON ATTENZIONE e “trattarli” mettendoli in buone condizioni logistiche. Molti spacciatori sono spacciatori per libera scelta, cioè perchè un lavoro regolare non gli va. Tuttavia esiste una umanità che non vive di un onesto e regolare lavoro ma che sbarca il lunario con tecniche alternative. Cistoro hanno avuto “una possibilità”, come si dice, magari un talento da coltivare, o semplicemente una famiglia bene che si è occupata di loro perché non stessero in mezzo alla strada a disonorare il loro buon nome. Un po’ costoso per la collettività, ne convengo, ma alla fine tutte le tasse che paghiamo dovran pure servire a qualcosa, e spostare la polvere sotto il tappeto non mi è mai sembrata una gran soluzione. Soprattutto, anche limitarsi a spostarla ha il suo prezzo, e può essere molto alto.

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