Si salveranno con la maieutica

Pochi giorni fa, sul loro blog, i Wu Ming hanno pubblicato la prima parte di un lungo post, intitolato L’amore è fortissimo, il corpo no e dedicato alla “cartografia della loro presenza in Rete”; in altri termini, ad analizzare come e perché si sono serviti del Web negli ultimi vent’anni.

Ho trovato spesso brillanti le idee del collettivo bolognese, e ritengo che quella in oggetto sia una delle più brillanti che abbiano avuto da quando promuovevano L’armata dei sonnambuli e decisero di coinvolgere Mariano Tomatis; per altro credo che se non dico tutti, ma almeno qualcuno dei personaggi pubblici che quotidianamente utilizzano internet (o, che è lo stesso, che pagano qualcuno per farlo utilizzare in nome e per conto loro) compissero un simile esercizio di (auto)critica, avremmo una Rete, se non migliore, al minimo meno tossica.

Ad ogni modo, questo “primo episodio” è interssante nel suo complesso, e vi invito caldamente a leggerlo tutto; più di ogni altra, tuttavia, a colpire la mia attenzione è stata la sezione FOMO chimica e tempo rubato al vivere, inserita nel capitolo Perché non siamo su Facebook, sul cui titolo credo non sia necessario fornire spiegazioni. In essa, i Wu Ming stigmatizzano quell’atteggiamento che nella sezione successiva chiameranno “tenere la parte”, e che descrivono con queste parole, tanto spassose quanto inquietanti:

Sono le due e devo alzarmi alle sette, solo che alle undici con quel commento ho scatenato un flame, son tre ore che ‘sti stronzi mi attaccano, a quello là gliene ho dette quattro, a quell’altro ho levato l’amicizia perché mi ha proprio deluso, quell’altro ancora mi ha scritto che io l’ho deluso, ma robe da matti, mi dice che devo chiedere scusa, ma scusa per cosa? Mi sono già lavato i denti però meglio dare un’ultima occhiata, vediamo se c’è qualcosa di nuovo, io comunque, cascasse il mondo, resto sulla mia posizione! Cazzo, sono le due e quaranta, ma tutta ‘sta gente non s’alza la mattina per andare a lavorare? Ok, pisciata e poi a nann… Macheccazz…? Questo lo credevo dalla mia parte, perché dà il like alla troia che mi ha detto che devo chiedere scusa?! ‘Rcoddìo, sono le tre e dieci, domattina non campanerò un cazzo… Ah, ma se pensano che io faccia un passo indietro si sbagliano!

Se questo paragrafo mi ha attirato più degli altri è stato, credo, per due ragioni (ed in effetti, tutto ciò di cui scrivo in questo blog, di solito, mi attira per almeno due ragioni): intanto perché, come dicevo anche pochi giorni fa a bortocal nei commenti ad un suo articolo, tenere la parte è un comportamento che non mi appartiene, ed anzi ho sempre trovato i litigi per interposto internet piuttosto patetici; in secondo luogo, perché neppure la frequentazione dell’ambiente che avrebbe dovuto rimuovere questo tratto della mia personalità, e cioè quello dei social network, è riuscita in questa impresa, ed anzi sono stato capace di utilizzare per quasi un anno Twitter (di recente, non nei giorni dorati ed insopportabili della mia e sua giovinezza) senza provare neppure una volta il bisogno di connettermi per litigare con qualcuno.

Ciò invero è sorprendente: ho sempre creduto che i social network fossero costruiti apposta per questo, ed anzi, proprio pensando a loro, ho finito per sviluppare una convinzione, che sono stato felice di veder confermata in L’amore è fortissimo, il corpo no: certi strumenti non possono essere usati bene, sono implicitamente “cattivi”. È la loro stessa struttura a renderli cattivi (riporto testualmente da un messaggio alla mia amica Anita, ironicamente inviato su Whatsapp, che ultimamente rivendica di appartenere a Facebook).

Mi rendo conto che in passato potrei aver espresso opinioni diverse, ed essere appartenuto al partito del “puoi usare un coltello per uccidere una persona o per operarla di appendicite”; ho cambiato punto di vista quando mi sono reso conto che, se una tecnologia ha un padrone, allora ci possono essere più utilizzi che tu puoi fare di quella tecnologia, ma di solito ce n’è solo uno che quella tecnologoia fa di te. Ma anche se non fosse così, servirsi di una determinata tecnologia conduce inevitabilmente a delle “distorsioni cognitive”, a vedere il mondo in un modo e non in un altro: vale per il coltello di cui sopra (ed infatti, per un chirurgo la soluzione ad ogni problema è tagliare), figurarsi per strumenti che lavorano con le informazioni e, dunque, con la percezione delle persone.

Mi dispiace aver condensato nel capoverso precedente l’unica idea interessante che abbia avuto negli ultimi trentun anni, perché sono sicuro che non le avete prestato la dovuta attenzione; se mi conoscete, infatti (e dubito che qualcuno che non mi conosce legga questo blog), sarete rimasti letteralmente sconvolti dalla rivelazione che, per un periodo relativamente lungo, io abbia usato un social network (probabilmente, tutti tranne ammennicolidipensiero, che nel periodo in questione mi chiedeva spesso “Ma sei sbarcato su Twitter?”); ancor di più, sarete rimasti letteralmente sconvolti dalla rivelazione che questo non mi abbia reso ancora più insopportabile di prima: sono la controprova di quella che poco fa ho definito l’unica idea interessante che abbia avuto negli ultimi trentun anni, ma questa non è una problematica di cui voglio occuparmi ora.

Comunque sì: per quasi un anno, su Twitter, sono stato Wolf, ed il mio scopo era “fare domande” (così è scritto anche nel mio nickname). L’ispirazione per una simile follia me l’ha data la mia amica Claudia che, nel corso di una conversazione, mi ha detto che, secondo lei, Matteo Salvini ed imitatori (ma poi, a pensarci, lo stesso Salvini è un imitatore, ed infatti la sua fama è molto simile a quella di personaggi come Frank Matano) hanno tanto successo è che nessuno si preoccupa di esercitare sui loro fan la maieutica; in altri termini, perché nessuno tenta mai di mettere in discussione i convincimenti dei salvinisti entusiasti, se non con l’intenzione di blastarli (attività che denota una volontà di dominio se possibile ancor più spiccata di quella che permea tanti ideologi leghisti). Di questo compito, assai indegnamente, ho voluto farmi carico io e così, per quasi undici mesi, ho quotidianamente dedicato un’ora del mio tempo al tentativo di ottenere da degli orgogliosi sovranisti una spiegazione del perché erano sovranisti. Il mio obiettivo non era convertirli (ed in ciò probabilmente differisco da Socrate, che la maieutica l’ha inventata) quanto, piuttosto, instillare in loro il dubbio. Ho poi scoperto che ad aver bisogno di un poco di maieutica non erano solo i “twittatori leghisti”, ma anche taluni personaggi che con loro condividevano parecchi tratti, e che pure erano (o dicevano di essere) animati da un fiero antileghismo. Particolarmente formativo, in questo senso, è stato l’incontro con i #facciamorete, masnada di clicktivisti convinti di poter sconfiggere la famigerata Bestia salviniana costruendone una analoga (per metodi, e spesso anche per argomenti) che facesse il tifo per Matteo Renzi. D’altronde, se ad un certo punto è parso possibile che Renzi e Salvini potessero star pensando a fare un governo insieme, qualcosa in comune devono avere, a parte il nome di battesimo.

Ora, durante la mia permanenza su Twitter mi ero dato alcune regole; la più importante di tutte, probabilmente, era che da questo esperimento non avrei tentato di trarre alcuna conclusione, per così dire, scientifica. Non di meno, questa esplorazione, prolungata per quanto disordinata, di un certo segmento della “pancia del paese” (non credo affatto che i social network, e meno che mai Twitter, rappresentino totalmente “la realtà”) mi ha portato ad elaborare alcune impressioni, e quella che mi sembra abbia la maggiore “evidenza” è che nessuno si è mai occupato di portare “la maieutica” a quei personaggi perché essi sono del tutto impermeabili alla maieutica.

Ciò credo abbia a che fare con la funzione sociologica che internet riveste, e che credo non sia cambiata dal giorno in cui è nato o, almeno, dal giorno in cui io ho iniziato ad usarlo; nonostante un’intensa campagna di marketing abbia cercato di farci percepire la discontinuità del “Web 2.0” rispetto al “vecchio internet”, infatti, frequentando Twitter mi è sembrato di essere tornato ai tempi in cui furoreggiavano forum, chat e newsgroup, ed in Rete si andava al solo scopo di trovare la propria cerchia chiusa, in cui condividere le proprie simpatie, gusti, interessi, idiosincrasie e vizi al solo scopo di farsi dire bravo. L’unica “innovazione” (che è, in realtà, una regressione) portata dai social network a questo schema è stata dare l’ullusione che il personaggio a cui tutti i propri simili danno pacche sulle spalle sia la persona che siede dietro la tastiera (ne ho già parlato qui); i social network hanno fornito a chi si dibatte nell’incertezza della vita contemporanea un’identità fittizia, che coincide con quella che esprime su Twitter (o su Facebook, o su YouTube) le opinioni più controverse: ed è per questo che, sui social network, è così semplice scatenare un flame semplicemente chiedendo “ma che dati hai per dire questo?”. Non si sta mettendo in dubbio un numero; si sta attaccando una visione del mondo.

Che, poi, questa sia folle è un altro discorso; ma io penso che, se molti credono alle visioni del mondo insensate ed insane propinate da tanti maitre a penser della Rete (perché un’altra “innovazione” introdotta da Facebook ed epigoni è di aver trasformato un discorso orizzontale in uno verticale), è proprio perché queste sono folli: un punto fondamentale che ho compreso stando su Twitter è infatti che in Salvini (o in chiunque i Grandi Ingegneri stiano preparando per sostituirlo) “la gente” non cerca un politico, ma un messia; non un’ideologia, ma una fede.

E, ce l’ha insegnato Tertulliano, alle verità di fede si crede non benché, ma perché sono assurde.

22 thoughts on “Si salveranno con la maieutica

  1. Ciao. Aspetto anch’io la seconda parte di L’amore è fortissimo, il corpo no. So che mi farà tentare di dirne cosa mi fa pensare. So anche che non riuscirò a farlo capire, sia online che offline.
    In bozza, dal 1983 ho ques’idea che:
    un’Itaca dell’era digitale si potrebbe pensarla come una terra che dovrebbe essere gestita da un rapporto di coppia, tra una Penelope digitale [Piattaforma informatica] e un Ulisse analogico [Utente].
    Il Telemaco [nativo digitale], abitante di un Web/Territorio solo digitale, crede di essere figlio di una relazione [che a lui appare legittima], nata negli anni Ottanta tra Penelope [Piattaforma informatica] e uno dei Proci [Marketing], quando la Penelope digitale ha deciso di unirsi a lui, divorziando da Ulisse e costringendolo a lasciare la terra che li aveva uniti, prima di sapere che avrebbe avuto un figlio.
    Bisognerebbe allora chiedersi “se”, e “come”, il problema del Web e dei nativi digitali, che lo abitano, da orfani di entrambi i veri genitori, si possa affrontare abilitando Ulisse a [cioè “creando condizioni adeguate a permettergli di”] ritornare e riconquistare Penelope, rimandando i Proci a casa loro [in modo percepibile come una “trasmissione di testimonianza”].
    La mia ipotesi [da riscrivere] su “come” affrontare il problema:
    creare “pro”spettive “loc”ali di “w”eb “t”erritorialità [prolocwt], che si possano associare al progressivo sviluppo di contenuti per un sito web, con un nome di dominio presentabile come “anagramma di un acronimo”, descrittivo di un intento collettivo; esempio: casarayuela.

    Se l’ipotesi sopra abbozzata, e la precedente motivazione, fossero accettabili, come contributo all’interpretazione di una realtà che richiede l’attenzione di una collettività “costituente”, fatta di persone rappresentative di diversi interessi e di diverse esperienze, si potrebbe avviare un’analisi retrospettiva, adeguata a individuare e scegliere, nell’ambito di un “dialogo operativo” [#dialogo_operativo], un nome di dominio in rete, ad esempio “casarayuela”, che abbia anche il significato di un “ritrovamento di futuro” [#RitrovamentiDiFuturo].

    Questa intenzione di sito web potrebbe diventare realizzabile iniziando a chiarire i motivi per i quali, chiamandolo “casarayuela.eu”, si presterebbe ad essere interpretato alla stregua della “homepage” di un ambiente-territorio, simile al CERN.

    Grazie in anticipo per l’eventuale pubblicazione del commento e l’eventuale aiuto a capire come farne un contributo all’apertura di un dialogo [operativo]

    Nonno Luigi

    • Il commento lo pubblico, perché in generale sono aperto a qualunque contributo non provenga da ambienti fascisti. Sicuramente per miei limiti, tuttavia, penso di non aver compreso cosa ti stai proponendo di fare.

      • Grazie.
        I limiti ci sono da entrambe le parti.
        Non si tratta di “farsi comprendere su” o di “comprendere” un “cosa”.
        La questione qui è un “come”.
        Non cerco di spiegare perché lo dico. Aspetto di leggere la seconda puntata del lungo post dei Wu Ming, oggetto di questa conversazione.
        Se loro riescono a dire “come” intendono mettere a frutto le loro esperienze di uso della rete, dal 2009 al 2019, mi aspetto di trovare qualche appiglio dialettico adeguato, per tentare un contributo alla ricerca di un “come” che spero analogo: “come” si rimedia al danno [sociale e ambientale] prodotto da una evoluzione tecnologica andata fuori strada, rispetto alla direzione [non percepita da chi fa informazione] che le ho visto prendere nel 1969?

    • Forse ora è un poco più chiaro… ma io credo che finché ci sono “i padroni dei bit” non è possibile servirsi di quegli strumenti se non per fare i loro interessi. Attendo la seconda parte dell’articolo dei WM per vedere le loro proposte.

  2. mooooolto interessante (a parte il fatto che non mi hai mai risposto alla domanda, ma capisco le ragioni e posso quindi permettermi il lusso di cliccare ora, a cose fatte, su “segui”, tiè! 😆 )
    però sarei curioso, ancorché tu non abbia volutoi trarre conclusioni “scientifiche”, di consocere più nel dettaglio le tue impressioni. cosa ti ha colpito di ciò che ti hanno (o non ti hanno) risposto.
    io, come sai, mi pongo in quella sparuta minoranza di utenti tuitter che lo usano non per dialogare con alcuno (sono assolutamente poco social, da questo punto vista) ma per accedere più rapidamente/comodamente a informazioni di varia natura (scientifica, letteraria, etc) [sono un po’ come uno che in italia mangia per vivere e non viceversa, per capirci. una rarità]. nonostante ciò, sarei curioso di conoscere le principali reazioni alle tue domande (stavo per scrivere “provocazioni” ma mi sono reso conto che tale termine porta con sè un indebito giudizio di valore, quindi preferisco un più neutro “domande”).
    concordo assai con il paragrafo centrale (a prescindere dal fatto che tu lo ritenga tra le migliori intuizioni in 31 anni), tanto quanto concordo con il tertulliano-pensiero (a cui per associazione di idee affiancherei un pensiero di pirandello dai “6 personaggi…” a cui sono molto affezionato: “oh, signore, lei sa bene che la vita è piena d’infinite assurdità, che sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perchè sono vere.”)

    • Ero in incognito! (Ora è un po’ inutile, non ricordo più nemmeno la password di quell’account)

      Non escludo di scriverne in post futuri :-). Anche perché penso sia necessario fare distinzione tra leghisti, fascisti veri e propri (ho avuto l’ardire di andare a fare domande anche sotto dei tendenziosissimi articoli del Primato Nazionale…) e calendiani/renziani. Diciamo che le risposte mi hanno spinto ad abbandonare il proposito di far domande (non avevo alcuna intenzione di essere provocatorio, comunque… ma pare che sia impossibile non sembrarlo ad alcuna di queste categorie), come ho scritto qui.

      Grazie. Anche a nome di Tertulliano :-).

  3. “The master’s tool will never dismantle the master’s house”

    Perche’ non sono sorpreso che certi personaggi siano impermeabili alla maieutica? Forse sto diventando troppo arrogante, ma non sono sorpreso proprio per nulla.

    Il tema delle distorsioni cognitive in rete meriterebbe uno studio a parte (possibile che nessuno lo stia facendo?) e apprezzerei molto se approfondissi lo spunto sulla trasformazione del discorso da orizzontale a verticale…

    • Ne parlerò di sfuggita anche nel prossimo articolo, di questo tema. Cosa stavi citando?

      Penso esistano studi sul tema, e di sfuggita potrei averli anche letti. Tra l’altro, Facebook non fu nell’occhio del ciclone, un periodo, per una sperimentazione sui feed di cui non informò i suoi utenti?

      Non so cosa potrei scriverne. Mi sembra una modificazione evidente, forse perché ho vissuto l’epoca dei forum.

    • …. mi accodo alla richiesta di redpoz … for the sake of my old sef education … chiedendo di chiarire la differenza tra discorso orizzontale e discorso verticale.
      Per me un discorso orizzontale è semplice cazzeggio. Quello che si sta praticando in rete da 30 anni.
      Un diiscorso verticale, sempre per me, è “Dialogo Operativo” [DO]. Il DO l’ho visto gestire al CERN per la prima volta nel 1969. Il DO ha permesso a un Open Social Environment [OSE], come l’ambiente di gestione della relazione tra fisici e tecnologia dell’informazione reso disponibile dal CERN, di sviluppare uno strumento [il Web] non disponibile sul mercato quando l’OSE ne ha sentito il bisogno.

      • Il discorso orizzontale è un discorso tra pari, il discorso verticale aderisce alla dinamica emittente-pubblico. La televisione è verticale, l’assemblea di un collettivo (almeno in linea di principio) orizzontale.

  4. Il chiarimento, che vorrei questi commenti aiutassero a fare emergere, riguarda la trasformazione del discorso da orizzontale a verticale [ vedi commento di redpoz ] in ambienti [esistenti e potenziali] richiesti dall’esigenza di gestire relazioni tra sistemi sociali e sistemi tecnici.
    Se, nella citazione fatta da redpoz … “The master’s tool will never dismantle the master’s house” …, il “tool” è “la comunicazione alla pari” … ci sono esempi di “master’s house” che dimostrano la verità della frase. Il CERN a Ginevra, il CINECA a Bologna e l’ECMWF a Reading [UK] sono i nomi di ambienti nati – e tutt’ora esistenti – per rendere possibile un discorso orizzontale tra il loro assetto sociale e un’evoluzione tecnologica altrimenti guidata esclusivamente da un discorso verticale tra fornitore e consumatore.
    Non so se questo potrebbe contribuire a produrre uno spunto per l’approfondimento chiesto da redpoz.

  5. i Wu Ming nei loro due post hanno tracciato una accuratissima e documentatissima autobiografia digitale; tu hai descritto la tua. la tentazione di parlare della mia è vinta facilmente, perché sono stato digitalmente monogamo, nonostante qualche scappatella, e un’amante fissa: mi sono sempre espresso tramite blog (da fine 2005) e con la convivenza altrettanto stabile della relazione adulterina con Youtube (dal 2008). ma in un sistema di relazione aperta, dato che blog e canale video sono stati sempre invitati ad interagire fra loro.
    nel mio modestissimo percorso ho avuto lo stesso rigetto di Facebook, abbastanza semplice ed istintivo, anche se pervicace, e i Wu Ming mi hanno dato centinaia di motivazioni dotte in più per convalidarlo. e noto che, per coincidenza, anche io avevo contrapposto, sempre istintivamente soltanto, twitter a facebook, ma, a differenza di loro, me ne sono ben presto praticamente disinteressato, lasciandolo in vita solo formalmente e per trasferimento automatico dei post, fino a che non è venuto Musk a risolvermi provvidenzialmente il problema. se poi dovesse anche chiudermi quell’account fantasma, non ne soffrirei, perché nulla di significativo passò attraverso quei file. leggo di quella tua parentesi predatoria, che tu qui chiami maieutica, che ti ha portato a fare incursioni tra profili leghisti; ecco una perversione alla quale non ho mai ceduto, anche se all’inizio del blog ho creduto, abbastanza a vanvera, anche io all’utilità di un confronto tra diversi, anche se non andavo a cercarlo altrove. ma questo convinzione che oso definire giovanile anche se durata fin oltre ai sessant’anni, nasceva da una insufficiente consapevolezza dei reali meccanismi del funzionamento della mente umana (l’ho sintetizzata proprio poco fa, nel mio boforisma di oggi: confinzioni (e non è uno dei miei frequenti errori di battitura).

    ma sto divagando: il nucleo del tuo post, che meriterebbe di essere evidenziato come merita, sta nella frase: “se una tecnologia ha un padrone, allora ci possono essere più utilizzi che tu puoi fare di quella tecnologia, ma di solito ce n’è solo uno che quella tecnologia fa di te”. con quel che ne segue: perché, utilizzandoci, quella tecnologia ci adatta a sé, anche se noi non ce accorgiamo, e dunque ci plasma e ci modifica.
    fra tutte il blog mi pare la meno invasiva, ma forse sbaglio: da qualche settimana wordpress ha avviato una massiccia ed incredibile vera e propria schedatura di massa, proponendo ogni giorno un quesito (per fortuna a risposta facoltativa) la cui somma è in grado di tracciare un identikit massiccio di chi siamo e cosa pensiamo, peggiore di qualunque spionaggio di massa.

    ma allora la domanda delle domande è che cosa ci spinge a usare anche questo strumento oramai residuale per gli scopi che gli assegniamo. e per chi non è poi animato dalla voglia di comparire, la risposta è più difficile del solito.

    • Secondo me non è voglia di comparire: è bisogno di esprimersi, e di vedere che a qualcuno ciò che esprimiamo interessa. E bisogno di esprimersi in una forma più complessa di quella che impone la semplificazione dei social network. Vero è che quello è ormai una forma a cui sta tendendo qualunque servizio internet, perché è assai redditizio: e presto, probabilmente, ci verrà tolto anche questo, se non altro nella misura in cui verremo condannati ad un’irrilevanza ancora più profonda.

      O forse è semplicemente desiderio di vita, di scoprire che, come diceva Pasolini, siamo ancora in grado di essere compresi.

  6. Ho passato 40 anni a dimostrare che, sul tema della relazione tra sistemi sociale e tecnico, non sono in grado di essere compreso. Per i precedenti 15 anni la mia capacità comunicativa OFFLINE – su quel tema – aveva funzionato egregiamente. Poi 10 anni di NON COMUNICAZIONE offline hanno fatto da battistrada a 30 di NON COMUNICAZIONE online. Adesso BASTA !!

  7. Provo ad impostare un approccio al tipo di risposta che mi chiedi.
    Non cercherò di arrivare a una conclusione.
    So che non riuscirei a farmi comprendere, come è già successo 4286 commenti or sono.
    Da notare: faccio fatica perfino io a capire cosa scrissi quasi 4 anni fa. Le cose che cercai di dire furono chiaramente male esposte … e [chiaramente] non suscitarono interesse a migliorarne l’esposizione.

    La mia sintesi, che trovi criptica, non vuole esprimere un pensiero. Ho immaginato di scrivere un diagnostico di errore di sistema sociale.

    Quando si esprime un intento realizzabile algoritmicamente può succedere che il sistema tecnico ti pianti in asso.
    In quel caso il sistema ti mette sulla strada per capirne la cause con un diagnostico di errore.
    Se il diagnostico non ti offre un indizio su come puoi intervenire puoi solo rivolgerti a chi sa cercare nel contenuto della memoria del computer, catturato al momento nel quale si è verificato l’errore [leggi: si è fatta l’esperienza dell’errore].

    La persona alla quale rivolgerti deve essere in grado di capire se l’errore è stato tuo [perché non hai usato correttamente il sistema, o hai sbagliato a descivere la procedura da fare eseguire, come algoritmo, per realizzare il tuo intento] oppure se si è trattato di una malfunzione del sistema, che dovrà essere aggiornato, per renderlo adeguato a soddisfare le tue aspettative.

    Un contesto organizzato per consentire quanto sopra scritto dovrebbe essere percepibile come un ambiente che abilita una comunicazione orizzontale tra sistema sociale [utente] e tecnico [strumento].

    Se fin qui sono stato chiaro potrei tentare di affrontare il problema di trasferire questo tipo di logica al caso in cui si volesse esprimere un intento che, per essere realizzabile, non ha bisogno di algoritmi ma di “capacità di comunicare [dialettizandolo] un sapere esperienziale a un sapere costituito” [ho citato Edgar Morin ma non ho la fonte; magari tu la conosci].

      • Dovrebbe esserci un legame con come e perché i WuMing e il sistema sociale “general purpose” si sono serviti del Web negli ultimi vent’anni.
        Lascio ai posteri dimostrarlo. Il mio tempo è scaduto. Buon proseguimento

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