Molti spettri si aggirano

Non è caratteristica propria di Verona: più ne visito, più mi sembra che ogni città abbia ed anzi debba avere i suoi spettri.

Quando ho cominciato a concepire e poi a scrivere questo articolo, ho creduto che sarebbe stato al minimo interessante iniziarlo con le parole che avete appena letto; e con cui esso, in effetti, inizia, ma solo in ragione della mia ben nota passione per l’autoreferenzialità: più rifletto su quella frase, infatti, più mi rendo conto che essa è gravata da due inemendabili difetti. Intanto, è oscura per chiunque non conosca sufficientemente me, e la maschera dietro cui mi celo su queste pagine; in secondo luogo, in ultima analisi è l’esatto contrario di quel che mi sembrava in origine: lungi dall’essere interessante, infatti, essa si limita a constatare un fatto che è ovvio per chiunque abbia studiato anche solo superficialmente la figura del fantasma e sappia che questa entità ha come caratteristica precipua quella di essere stanziale; di essere, cioè, strettamente collegata al luogo che infesta… o forse sarebbe meglio dire abita, utilizzando un termine meno pregiudizievole (ho maturato ormai un anno fa, dopo una curiosa esperienza che ho raccontato qui, la convinzione che gli spettri non dovrebbero essere trattati, a prescindere, come figure minacciose).

L’opinione che lo spettro sia uno dei residenti in una casa, e non una maledizione posta su di essa, è a ben guardare l’unico elemento di originalità che l’esordio di questo post sottintende. Certo, esso allarga lo sguardo, giungendo a suggerire che un ectoplasma possa avere come sede di stazionamento non solo una casa singola, come vuole la tradizione scritta ed orale, ma anche un insieme di case, quello che, al suo livello più basilare, è una città; come se non bastasse, considera degne di essere inserite in questo insieme non solo, com’è di solito dato per scontato, le abitazioni più antiche (per costruzione o per stile) e rispettabili (fatta salva la circostanza di essere la dimora di una figura che, come detto, si considera di base diabolica, e che si sarà pur stabilita in un luogo e non in un altro per un qualche motivo), ma anche i più moderni grattacieli, imponenti sacrari della società neocapitalista; le villette a schiera della periferia ricca, dove spesso covano istinti inconfessati ed inconfessabili che farebbero impallidire perfino Clive Barker; i formicai dipinti a colori ospedalieri in cui le persone mangiano, dormono e crepano in quei rari momenti in cui non sono impegnati a produrre a getto continuo gli oggetti che altri consumano; gli esercizi commerciali in cui quegli stessi oggetti si vendono. Soprattutto, esso considera degne di essere inserite in questo insieme anche, e soprattutto, le strade su cui tutti quegli edifici si affacciano.

Le strade, già: era in un certo senso inevitabile che, discettando di fantasmi, io giungessi infine a parlare degli archi che uniscono gli innumerevoli vertici di quei grafi, complessi ed in larga parte incomprensibili, che sono le città che tutti noi abitiamo; ma proprio la fatalità del discorso svolto fin qui dimostra che quel residuo di originalità che la frase che apre questo post pareva possedere è illusoria. Nella “cultura popolare” (sto utilizzando questo termine nel senso più largo possibile) è infatti radicata l’idea della città infestata ancora più di quanto non lo sia quello della casa infestata: lo dimostra il successo, più che trentennale, di un film come Ghostbuster; lo dimostra pure il fatto che perfino io, che risaputamente non sono una persona che pone eccessiva attenzione al marketing di se stesso (prova ne sia che questo articolo conta ormai cinquecentonovantuno parole, e non è ancora giunto al punto), quando ho dovuto occuparmi di fantasmi non ho saputo farlo se non parlando, appunto, di strade: l’ho fatto, per interposto blogger, quando ho ospitato un racconto che aveva per protagonista il golem di Praga e che mostrava un’incredibile attenzione alle vie della capitale ceca; l’ho fatto con una serie di post intitolata Spettri a Verona (ed ecco spiegato il riferimento alla città scaligera, per altri versi enigmatico, posto in apertura a questo articolo). Nell’introduzione a quella rubrica, il cui scopo dichiarato era tentare di comprendere “perché una data strada è dedicata ad una data persona”, scrivevo anzi che

non c’è alcun bisogno di immaginare degli spettri continuamente aleggianti sopra le vie di una qualunque delle città di questo paese: perché in tali città degli spettri effettivamente esistono, e sono quelli i cui nomi sono evocati nelle intitolazioni delle strade, delle piazze, dei vicoli.

Qualche giorno fa, per motivazioni che sarebbe lungo, tedioso e prematuro spiegare, mi aggiravo per le vie di Cesena; era l’una passata, avevo già visitato quel capolavoro che è la Biblioteca Malatestiana, per il pomeriggio avevo in programma una visita alla Fortezza Nuova che domina la città dalla cima del colle Garampo e stavo andando alla ricerca di un chiosco che mi vendesse una piadina: dunque, non mi aspettavo che la cosa più sorprendente di cui avrei fatto esperienza nella città romagnola sarebbe stato un familiare cartello bianco bordato di azzurro che serve ai postini per fare al meglio il loro lavoro.

Un cartello bianco bordato di azzurro su cui era scritto vicolo Pasolini.

Ecco, è stato allora che mi sono tornate in mente le considerazioni, che avevo sempre trovato stimolanti ma sterili, fatte in Spettri a Verona, e che ho iniziato ad elaborare quelle riflessioni che, infine, hanno generato la banalità che ho posto in testa a questo scritto; è stato allora che ho avuto l’impressione che l’universo (o, più probabilmente, l’ufficio odonomastica di Cesena) mi stesse parlando: secondo te le vie sono piene di spettri? Bene, quando meno te l’aspetti eccoti una via dedicata al Grande Spettro, la figura parimenti inquietante e fondamentale con cui l’Italia non è ancora riuscita a fare pace.

Quel senso di esaltazione, che facilmente riconoscerà chiunque abbia mai provato un’esperienza in qualche modo mistica, è durata finché (e ci sono voluti pochi secondi) non ho occhieggiato una targa che chiariva che quel vicolo è dedicato non a Pier Paolo, ma ad un altro Pasolini, famiglia che proviene  appunto dalla Romagna ed ha dato alla patria ben due senatori del regno, Giuseppe e Pier Desiderio (ed onestamente non mi ricordo a chi dei due fosse intitolato il vicolo in questione); a quel punto, inevitabilmente, Cesena mi è sembrata assai meno metafisica di quanto non mi fosse parsa in quei pochi secondi di estasi, ed ho guardato con un occhio diverso al suo stradario (in cui non manca, ho scoperto mentre eseguivo alcune ricerche, una piazza effettivamente dedicata a Pier Paolo Pasolini, opportunamente dislocata verso la periferia affinché il suo nome non turbi i sonni dei cesenati perbene): un occhio per così dire empirista, che ha tentato di rispondere ad una domanda che tormenta il cervello del suo possessore da tempo.

Cosa significa dare dei nomi alle strade?

Trovo che una risposta a questa (fondamentale) domanda dovrebbe essere ricercata tutte le volte che le amministrazioni locali (spesso, con un colpo di mano) decidono di dare una rinfrescata ai nomi che abbelliscono i muri delle città che governano, e che è un atto che giustamente talvolta ha provocato la riprovazione degli abitanti di quelle stesse città: decidere di chiamare con un certo nome una certa strada di un certo quartiere non significa soltanto (per continuare con la facezia iniziata più su) far impazzire i postini, significa anche stabilire un pantheon, indicare certe figure come esempi da seguire. Cosa significa che a Verona piazza delle Pasque Veronesi, evento certo “fondativo” della città odierna ma tutto sommato localistico e “controrivoluzionario”, merita di stare nel centro storico, e via Gio Batta Domaschi, invece, in periferia? Ancora a Cesena, la storica piazza Pia, su cui si affaccia il duomo (non indimenticabile, diremo) è stata reintitolata, in qualche momento dopo il 2005, piazza Giovanni Paolo II: chi ha preso questa decisione, e perché? Cosa voleva dire ai cesenati chi ha sbattuto loro in faccia, nel centro esatto della città (ossia nel luogo in cui, storicamente, si fa la politica), il nome del capo di uno stato straniero, leader supremo e incriticabile di una religione che nel Novecento più di altre si è mostrata, anche grazie all’azione dello stesso Wojtyła, retriva e reazionaria? Perché in prossimità del fiume Savio, così come in molte altre città italiane, piazzale del Risorgimento fa angolo con via Cesare Battisti, a suggerire che la Prima Guerra Mondiale fu l’ultimo prolungamento del fulgido periodo risorgimentale, perpetrando così la stessa esiziale bugia che condusse l’Italia a quell’immane carneficina?

Perché, certo, più su ho scritto che è un errore credere che tutti gli spettri siano malvagi. Ma non sono così stupido da ritenere che nessuno lo sia.

6 thoughts on “Molti spettri si aggirano

  1. Be’ ,effettivamente i fantasmi sono stanziali . Non ricordo Verona ,mi pare feci toccata e fuga in un passato remoto. Mi sono piaciute in modo particolare le due riflessioni sulle piazze di Cesena. Una ,dedicata a Pier Paolo Pasolini e collocata in periferia per “non turbare la gente per bene”. L’altra, centrale , storica Piazza Pia, sede “dove si fa politica “dedicata poi a papa Giovanni II. Concordo pienamente con i passi indietro. Apparentemente un simpaticone,promotore di commercio a sfavore dell’apostolato.
    Ho timore di sbagliare a chiamarti Gabriele scusami se il mio è un errore . Magari servirà per rispolverare la memoria. I fantasmi che abitano in noi se vi abitano sono i peggiori. Indubbiamente gli altri esterni impressi in vicoli bui in piazze in viali sono indubbiamente innocui. Chi li ha ideati è altra questione. E di fantasmi cattivelli nonché pazzerelli credo che ve siamo. Neppure pochi. E Verona temo che la vedrò diversamente. Conta pure che non amo molto la TV adoro la radio. Grazie ti ripeto che mi “sorprendi” in bene sempre. Ciao 🍀✌️

    • Mi chiamo Gabriele effettivamente… e stimo che i fantasmi delle piazze siano un riflesso di quelli che abbiamo dentro. Se scriviamo su un muro che Cadorna (faccio un esempio famoso) era un esempio, è perché dentro di noi apprezziamo il suo arbitrio, e vorremmo avere la possibilità di fare ai nostri simili quello che lui ha fatto a quelli che comandava.
      Grazie dei complimenti.

      • Si Gabriele siamo arrivati al torsolo…Cadorna, si ribellò strenuamente a quelli che comandavano . Riporto un paio di stralci emblematici :
        …dopo un rifiuto delle fanterie di obbedire a un ordine di uscire dalle trincee, il generale intravide, nella quarta lettera (18 agosto), un nesso tra la rivoluzione leninista e la disfatta italiana che, entrambe, si sarebbero concretizzate in ottobre: «Lo sfacelo degli eserciti della Russia è conseguenza dell’assenza di un governo forte e capace; ora io debbo dire che il Governo italiano sta facendo una politica interna rovinosa per la disciplina e per il morale dell’Esercito contro la quale è mio stretto dovere di protestare con tutte le forze dell’animo». Il numero dei disertori era andato crescendo tra aprile e agosto 1917 da 2.137 a 5.471 e i processi per diserzione in zona di guerra da duemila a circa seimila…(Che disastro poveri uomini -soldati ! )
        Ma torniamo al 1916.
        Cadorna aveva interpretato come parte di un disegno ai suoi danni la decisione del ministro Zuppelli di inviare, senza avvertirlo, un contingente a Valona e di far poi avanzare quei soldati fino a Durazzo. In quell’occasione il generale protestò con il re. Il quale però gli rispose che era troppo tardi e che quella missione albanese era già un «fatto compiuto».
        Dopodiché Cadorna promosse una violentissima campagna di stampa contro Zuppelli, fino a che ne ottenne le dimissioni. Ho trascurato molte parti importanti e riportato solo alcuni spezzoni forse più vicini al tuo pensiero che vorrebbe trasformarsi in intento.

        Ma tu intravedi una possibilità del genere ? ! Mi pare di no ,neppure io . Né sono all’altezza di tali “voli”, una Icaro e basta …Grazie

      • Si Gabriele grazie di aver fatto il collegamento . . Quello fu periodo terribile . Come ora non lo è ma ha diverse affinità,purtroppo.
        Cadorna si è ribellato , il disastro è comunque avvenuto . Il generale è riuscito a fare saltare qualche testa. Una vicenda terribile fai bene a citarla siamo di nuovo al disastro.

        • Ma io non giudico i risultati guerreschi di Cadorna (e per altro, trovo sempre piuttosto desolante quando uno viene esaltato perché era bravo a fare la guerra: cioè ad ammazzare persone). Giudico il modo crudele in cui gestì le sue truppe: un uomo che fucilava con quella facilità (in un momento in cui la media sui fronti europei era drammaticamente più bassa) non merita una strada a lui intitolata.

  2. Nemmeno io esalto certe gesta,era in guerra,ma è stato disonesto . L’unica cosa che ho guardato in positivo la sua tenacia nel fare emergere altri colpevoli sempre ai vertici. Questo è il passaggio che ho frainteso. Scusa. Ho riletto la vicenda , il generale ha commesso gravissimi errori ed è stato sleale. Accuso sempre i suoi uomini ! Caporetto,però non fu tutta la guerra italiana, quindi riversare su Caporetto ogni colpa, per me sarebbe un errore. Le truppe al comando del generale si arresero. Cadorna fu vile e prepotente .Infine fu rimosso e rimpiazzato da Armando Diaz che però volle con sé Badoglio, uomo invischiato in quel disastro . Ho ripassato un po’ di storia,per me, è complessa .Infine non penso che meriti nessuna targa !.Caporetto resta una storia non emersa completamente ,che ogni generazione successiva,ha tentato di risolvere con chiarezza Il mio pensiero è probabilmente inesatto ,ma altro non posso affermare . Riguardo alle guerre sono terribili, drammatiche ,ingiuste. Penso ai tanti uomini cinici ,insulsi e folli che le hanno sempre dichiarate e che rinascono sempre. Su questo non ho dubbi. Grazie Gabriele spero di avere risolto questo mio modo di rispondere saltando pezzi importanti . Che li abbia in testa non basta. Qui oggi 42°. Incendi sempre possibili. Ciao

Leave a reply to Francesca Cancel reply