(Per un periodo, ho condotto su questo blog, ad intervalli irregolari determinati dalla disponibilità di “materia prima”, una rubrica che potrei intitolare degli Annotato, in cui prendevo un discorso pronunciato in qualche occasione da un politico e ne affrontavo “l’analisi”, intendendo con questo termine che lo trattavo come avrei potuto trattare un qualunque testo letterario di cui avessi dovuto fare una versione, appunto, annotata: sottolineavo quali erano le figure e, più spesso, i mezzucci retorici utilizzati, chiarivo i passaggi oscuri, compivo un fact checking minimale sulle affermazioni. Quella rubrica giace dimenticata, credo, dal giorno in cui pubblicai Il Di Battista annotato, pochi giorni prima di laurearmi – e tenete conto che da quel giorno ho fatto in tempo ad abilitarmi alla professione medica ed a concludere una scuola di specialità lunga cinque anni.
La mattina di Capodanno, leggendo i titoli dei giornali a proposito dell’ultimo discorso “presidenziale” di Mattarella, mi è venuta voglia di sottoporre le sue parole allo stesso trattamento; mentre lo facevo, mi sono ricordato del perché avevo abbandonato gli Annotato: perché richiedono una gran quantità di ricerche e, soprattutto, perché risultano essere sempre dannatamente lunghi– tranne quello, sui generis, su Enrico Letta -, e quello dedicato all’ancora-per-poco capo dello stato non fa eccezione: il contatore delle parole mi dice che ho superato le 1800, avendo “consumato” solo 5 minuti dei 15 che il discorso dura.
Non possiedo il dono della sintesi, ma non sono un mostro: ho deciso, dunque, di fermarmi qui. Per il momento, almeno: non escludo che, in futuro, potrei rimettere mano a questo avvincente cortometraggio e completare la mia opera. Non so, però, quanto potrebbe durare, quel momento: ed ecco spiegato il punto interrogativo nel titolo dopo Parte 1. La Parte 2 potrebbe arrivare domani, tra una settimana, o forse mai.
Frattanto, vi auguro buona lettura… e buon anno).
La prima considerazione che credo interessante riguarda l’impostazione scenica, sensibilmente diversa da quella dei messaggi pronunciati da Mattarella negli anni precedenti il Covid. Fin dalla prima occasione in cui “parlò alla nazione”, per altro avendo potuto prepararsi più a lungo dei suoi predecessori (i capi dello stato da Pertini in poi sono stati eletti tutti tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate, mentre Mattarella è entrato in carica il 13 febbraio del 2015), Mattarella l’ha fatto da seduto; questo gli consentiva, tra le altre cose, di non mantenere l’innaturale posizione delle mani che invece mantiene qui. Solo lo scorso anno (ma forse in qualche modo c’entravano le norme di contenimento della pandemia, che a dicembre 2020 stava vivendo un momento di particolare virulenza), il tradizionale “messaggio d’auguri” è stato pronunciato stando in piedi; allora Mattarella si era però servito di un leggio e, mi pare (non è chiaro dalle immagini), aveva deciso di farsi riprendere in esterna. Fare a meno del leggio è stata un’ottima idea: a livello simbolico, elimina un “ostacolo” che “allontana” la figura istituzionale dai cittadini a cui si sta rivolgendo; la scelta è coerente con quanto fatto fin dal primo messaggio, quando (come in tutte le occasioni successive) non si era presentato seduto dietro la scrivania come, invece, faceva Napolitano.
Non “rimettersi seduto” credo sia un modo per significare qualcosa di molto preciso, già a livello visivo: Mattarella ha intenzione di declinare le offerte (che, a sentire la logica francamente perversa dei giornalisti, gli sono arrivate in modo arzigogolato dal Partito Democratico) per un secondo mandato al Colle. Interpretazione fin troppo semplice da elaborare: Mattarella affermerà più volte, nel prosieguo del discorso, sia esplicitamente che implicitamente, che questa è la sua volontà; e che non intendesse continuare a sedere al Quirinale l’aveva anzi già dichiarato in un’intervista di qualche tempo fa, citando Antonio Segni, che pure presidente della Repubblica lo è stato, il quale aveva proposto di aggiungere in Costituzione il divieto per un secondo mandato per il capo dello stato. Certo, si potrebbe notare che è piuttosto sinistro, per il massimo rappresentante della Repubblica, prendere ad esempio proprio Segni, viste le circostanze in cui è stato costretto ad interrompere il suo mandato; ad ogni modo, allo stato attuale della volontà di Mattarella si può prendere atto, ma il suo diniego non ha alcun significato formale: carta costituzionale alla mano, infatti, alle elezioni per il presidente della Repubblica non ci si candida, ma
Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici.
(Articolo 84 della Costituzione)
Per concludere il discorso sull’attorialità, poi, non si può non notare l’interpretazione piuttosto monocorde, che non si produce mai in variazioni né di velocità, né di dinamica; Mattarella non rallenta né accelera mai, non parla mai “più piano” o “più forte”. Si dirà che la scelta è coerente: in fin dei conti, anche se non sempre in modo “corretto” (le circostanze che hanno portato al secondo governo Conte ed al governo Draghi sono state quanto meno irrituali), egli ha costantemente vissuto il ruolo sobriamente, e dunque non può accettare di utilizzare dei mezzucci da attore per “accalappiare” il suo pubblico (del cui seguito, d’altro canto, non può dubitare: al momento in cui scrivo, il video linkato su è undicesimo in Tendenze su YouTube Italia, probabilmente più in ragione della curiosità che del reale interesse). Se questo è il caso, credo che denoti una gravissima incapacità di comprendere come funziona la comunicazione umana e, soprattutto, la sua ricezione: servirsi dei cambi di dinamica non è affatto un “mezzuccio”, ma l’unico mezzo efficace per essere sicuri che il senso del proprio discorso sia giunto all’uditorio (esistono centinaia se non migliaia di testi di letteratura teatrale “tecnica” che trattano di questo tema: posso citare, nel mio campo di interesse, I cinque punti nella magia di Juan Tamariz), per sottolineare quali sono le parti centrali del proprio discorso, quelle che si vorrebbe restassero più impresse. D’altronde, che la politica sia un teatro dovrebbe essere una verità che non sorprende più nessuno, visto che è noto fin dai tempi di Aristofane: insomma, se Mattarella ha scelto coscientemente di adottare questa risoluzione, si tratta di un errore piuttosto grave; soprattutto per uno che, oltre che un politico ed un avvocato, è anche un docente universitario.
Di variazioni di dinamica, per altro, ci sarebbe un gran bisogno perché (tolta l’inevitabile sezione sul Covid, di cui ci occuperemo a breve), Mattarella salta spesso di palo in frasca, cambiando repentinamente argomento senza fornire un “segnale” del fatto che lo sta facendo: ad 1.12, ad esempio, passa senza alcuna soluzione di continuità dalle facili profezie sul suo prossimo futuro ad un elogio del “volto autentico dell’Italia, quello laborioso, creativo, solidale”. Per fare un parallelo, è come se, in un testo scritto, non ci fossero mai punti, né virgole, né a capo; ed in effetti, anche il lavoro di sottotitolatura non ha abbondato in segni di interpunzione, il che potrebbe far pensare che si tratti davvero di una scelta stilistica. Certo, nel caso, piuttosto avanguardistica.
Ad 1.38 Mattarella da un’interessante dimostrazione di utilizzo di un’“idea senza parole” di jesiana memoria (ne ho parlato più volte su questo sito, ad esempio qui): quello di patria, qui declinato nel senso di “vera comunità, con un senso di solidarietà che precede e affianca le molteplici differenze di idee e di interessi”. Condizione inattuabile perché, finché esiste una società capitalista, esisteranno sempre differenti interessi (e mai un “interesse italiano”) non solo tra le diverse classi, ma anche all’interno della stessa classe: un imprenditore che lavora molto in import-export ha un’idea diversa sull’Unione Europea, rispetto ad un piccolo “padroncino” veneto che non vende oltre i sacri confini rappresentati dal Po, dall’Adige e dal Tagliamento.
Sottolineo la giustezza del termine impiegato a 2.31: contrastare il virus, non combattere. Sono felice che, almeno in questo passaggio, il presidente della Repubblica non sposi la retorica bellica che, invece, pare andare per la maggiore (anche se meno, rispetto alle prime ore) tra i politici di praticamente qualunque formazione politica. Non lo stesso plauso si può invece fare per la scelta lessicale di dieci secondi dopo, quando Mattarella afferma che chi si è vaccinato si è fidato della scienza: ma della scienza non ci si può fidare, perché non è un complesso di credenze, bensì un metodo per cercare di costruire modelli quanto il più possibile vicini alla realtà dei fatti. Forse, l’arresto nelle nuove vaccinazioni dipende anche da questo errore comunicativo commesso dalla politica: quello di aver presentato la scienza come una fede a cui ci si deve abbandonare.
Ed a questo proposito, è sostanzialmente falso affermare, come Mattarella fa a 2.50, che “quasi la totalità degli italiani” si è sottoposto alla vaccinazione anti-Covid: al momento in cui scrivo queste righe (ovviamente successivo a quello in cui Mattarella o chi per lui ha scritto le sue), dati del governo alla mano, l’85% della popolazione con più di dodici anni ha completato il ciclo vaccinale, e l’89% ha ricevuto almeno una dose. Comprendo che “quasi totalità” è un concetto privo di qualunque significato statistico, e che dunque ognuno può utilizzarlo nel modo in cui vuole; nella mia percezione, siamo ancora ben lontani dalla “quasi totalità”. È comunque condivisibile la posizione del presidente riguardo i vaccini: uno strumento prezioso che tuttavia non garantisce l’invulnerabilità. Discutibile invece l’affermazione secondo cui, vaccinandosi, diminuirebbero i rischi per sé e per gli altri: non abbiamo certezza che i vaccinati non diffondano il virus; l’unica protezione che, vaccinandoci, offriamo agli altri è, al momento attuale, quella di non prendere il Covid-19 in forma severa, non andando così ad occupare posti letto negli ospedali e tenendoli lontano dal “punto di collasso” (per utilizzare un termine di cui Mattarella si servirà poco più avanti).
Ancora, vaccinarsi è almeno nella mia percezione una forma di rispetto rivolta essenzialmente verso se stessi, non verso gli altri e men che mai verso coloro che sono morti prima che un vaccino potesse essere sviluppato; non condivido decisamente, dunque, le parole di Mattarella al minuto 4.21, per altro declinate, come ha notato bortocal, in una forma non troppo diversa dal “tu lasci il cibo nel piatto ed i bambini poveri non ce l’hanno”. Ricordo inoltre che, nella logica classica, vige la legge per cui, da una premessa falsa, si può dedurre qualunque conseguenza (principio dell’ex falso quodlibet): concetto ben espresso dalla massima di Bertrand Russel “se due più due fa cinque, allora io sono il papa”, che ha più o meno lo stesso valore dimostrativo di “se le persone morte durante la prima ondata avessero avuto il vaccino, allora non sarebbero morte”. In ultimo, faccio notare che addossare a chi non si vaccina una “colpa” nei confronti di chi non può vaccinarsi è un vuoto artificio retorico, utile a nascondere le responsabilità politiche ed istituzionali per i deficit della campagna vaccinale: il compito della politica e delle istituzioni dovrebbe infatti essere quello di rimuovere gli ostacoli che impediscono ad alcune persone di accedere ad uno strumento di prevenzione così importante; fine che potrebbe essere perseguito, ad esempio, obbligando le case farmaceutiche a ritirare i brevetti sui vaccini (che sono stati sviluppati anche, in qualche caso pressoché esclusivamente, con soldi pubblici), consentendo così una loro migliore diffusione nelle aree povere del mondo. È anche una misura di buon senso: abbattere i tassi di contagio in alcune aree lasciando circolare il virus in altre è infatti il modo migliore per creare delle varianti.
Importante il riferimento, sia pure incidentale, alle “sofferenze per le persone con disabilità”, che forse avrebbe meritato un maggiore approfondimento: un rapporto pubblicato da sette organizzazioni umanitarie, che ha coinvolto oltre duemila persone e basato sui dati di 134 paesi (Disability rights during the pandemics), ha infatti evidenziato come le persone fragili siano state tra le più colpite non solo dalla pandemia in sé e per sé, ma anche dalle sue conseguenze sociali, prima fra tutte l’isolamento conseguente alle misure di contenimento; il rapporto parla chiaramente di “esacerbazione dei pre-esistenti abusi contro i diritti umani” e di “fallimento nella prevenzione di ulteriori abusi”. I disabili, i loro caregiver, le associazioni che se ne occupano hanno percepito, nel 33% dei casi, che gli stati non stavano intraprendendo “alcuna misura” per proteggere le vite, la salute e la sicurezza delle persone disabili; in alcuni casi non sono state anzi implementate neppure le più basilari misure di sicurezza (ad esempio, distribuire dispositivi di protezione individuale, promuovere il distanziamento sociale, garantire l’approvvigionamento di cibo alle strutture residenziali per disabili). Una situazione che dovremmo ricordare tutti fin troppo bene, perché è esattamente così che le istituzioni lombarde hanno agito nei confronti di un’altra categoria fragile, gli anziani, che all’inizio della pandemia sono stati rinchiusi nelle RSA che sono diventatiìe dei veri e propri incubatori della malattia, con la conseguenza che nel periodo considerato la mortalità degli anziani è salita di tre volte.
Ecco, credo che sarebbe un gesto di maggior rispetto nei confronti di questi morti cercare di far assumere le proprie responsabilità di questo disastro a chi le ha. Cosa che è risultata assai difficile da fare.
totalmente d’accordo! (e chissà come la mettiamo se io sono d’accordo con te sul tuo blog e in disaccordo con i tuoi commenti sul mio :-)).
mi auguro di leggere la continuazione.
una sola critica sottovoce, ma sul piano dello stile comunicativo: anche tu dovresti visualizzare meglio i blocchi e i passaggi tra i diversi punti sul tuo post, enfatizzandoli, per non cadere nello stesso errore che giustamente rimproveri a Mattarella.
Hai dei suggerimenti?
uno ce l’ho, semplicemente perché fu dato a me, qualche tempo fa, da un lettore che trovava i miei post lunghi e faticosi (ma non l’ho mai adottato, tranne qualche volta, subito dopo): suddividere in punti con titoletti, che evidenziano il tema e magari, addirittura, premettere una specie di sommario, così chi è interessato a qualche passaggio soltanto, può andarlo a cercare.
io comunque non l’ho adottato, perché trovo che dia un’aria troppo didattica all’esposizione, e mi limito a scandire i nuclei tematici dividendoli visivamente. ma questo lo fai già anche tu, del resto.
forse (e lo dico anche per me stesso) farebbe bene usare il neretto verso l’inizio di ogni blocco per sottolineare i passaggi chiave e i temi centrali.
dimmi che ne pensi, perché magari metto alla prova il sistema anche io…
L’idea del neretto potrei adottarla. È che non so se va bene per tutti gli articoli.
intanto ho provato ad inserirlo nel mio ultimo post: mi pare funzioni aumentando un poco la comunicatività.