Salvator Mundi, un kolossal in due tempi

Titoli di testa

Non molto tempo fa, nel corso di un mio exploit narrativo (questo, per la precisione), mi è capitato di accennare al Salvator Mundi; mi ero tacitamente ripromesso, quando ho pubblicato quel racconto, di riprendere nuovamente in mano la storia di quel dipinto che, ritengo, contiene almeno due spunti che sono meritevoli di discussione: introdurli, è lo scopo dell’articolo che state leggendo.

La natura delle riflessioni che voglio condividere con voi fa sì che io non possa esimermi dal raccontare, per sommi capi, i fatti che hanno avuto per protagonista l’opera in questione; ciascuna di esse riguarda un diverso “tempo”, un segmento della complessa vicenda che è iniziata quando, nel 2005, un mercante d’arte si convinse di aver acquistato, ad un’asta a New Orleans, un quadro, fino a quel momento creduto perduto, di Leonardo da Vinci. Mi rendo conto che la mia ricostruzione potrà apparire ponderosa o, alternativamente, superficiale; rimando tutti coloro che desiderino un maggior approfondimento, o una perizia narrativa superiore a quella che io potrei mai avere, al documentario Leonardo. Il capolavoro perduto, che è anche la fonte da cui ho attinto pressoché tutte le informazioni sul Salvator Mundi.

Le opinioni espresse, invece, appartengono solo e soltanto a me.

Primo tempo

Come accennato, tutto inizia nel 2005: in quell’anno un mercante d’arte acquistò, per poche migliaia di dollari, un dipinto su tavola, che affrontava il tema iconografico classico del Salvator Mundi, e che veniva attribuito dai banditori alla “scuola di Leonardo”. La tavola, danneggiata, venne affidata ad una delle migliori restauratrici al mondo, Diane Modestini; il marito di Modestini (da cui lei, nella miglior tradizione americana, ha preso il cognome), Mario Modestini, era un famoso storico dell’arte e, messo di fronte al quadro, stimò che appartenesse alla prima generazione successiva a Leonardo. Diane condivideva inizialmente l’opinione del marito; cambiò tuttavia partito dopo la sua morte perché, a suo dire,ad un certo punto alcuni particolari del Salvator Mundi la convinsero che il quadro fosse stato realizzato non da qualche suo allievo, ma dall’artista di Vinci in persona.

Né Modestini fu l’unica a sostenere questa possibilità: quando, terminato il restauro, il quadro venne prestato al British Museum di Londra, per la mostra Leonardo da Vinci: Painter at the Court of Milan, il direttore del museo interpellò un folto gruppo di critici perché esprimessero un parere sulla questione: ed è qui, che questa storia inizia a sembrare l’incrocio tra un racconto di Borges ed uno di Chandler. Nessuno dei coinvolti prese una posizione ufficiale sul tema; d’altronde, sulla base soltanto di una discussione informale che seguì l’esposizione “a porte chiuse”, il Salvator Mundi venne venduto al pubblico come un Leonardo autentico fuor d’ogni dubbio. Incidentalmente, forse anche per questo la mostra fu un successo.

Ciò suscitò polemiche, anche piuttosto “partecipate”; ad un certo punto, la maggioranza dei commentatori iniziò a sostenere la non autenticità del quadro o, alternativamente, la futilità della questione: come sintetizzò qualcuno, col gusto della battuta icastica che Internet ha reso fastidiosamente popolare, seppure il quadro era mai stato di Leonardo da Vinci, ormai non lo era più; ormai, era di Diane Modestini.

Ed è indubbio che l’autrice, per così dire, fisica del Salvator Mundi che si vede nel documentario Leonardo. Il capolavoro perduto, sia Diane Modestini: le condizioni in cui si trovava il quadro nel momento in cui venne acquistato, infatti, rendevano impossibile non solo individuarne l’autore “primigenio”, ma anche, semplicemente, riconoscere il soggetto che vi era raffigurato, ed è stata lei a ricostruirlo. Ciò dice molto sull’ossessione, tipicamente contemporanea, per l’autorialità (tema su cui ho già espresso la mia opinione qui): in tempi che non riescono a discostarsi dall’idea romantica secondo in cui l’autore è il genio solitario che fa qualcosa (possibilmente, prima di tutti gli altri), è quasi scontato credere che il “genitore” di un quadro sia chi, fisicamente, ha messo la vernice sul supporto. Ciò è però, a mio modo di vedere, oltremodo semplicistico: gli affreschi delle Stanze Vaticane, per la maggior parte, furono realizzati mentre Raffaello era impegnato in altri progetti, ed il suo lavoro si limitò al disegno dei cartoni che, poi, vennero riportati sullo stucco e “pitturati” dai suoi allievi; però, se vi chiedessero di chi è la Scuola di Atene, cosa rispondereste? Dell’Urbinate o dei suoi allievi?

La scuola di Atene

Si può sostenere, è lecito, che il Salvator Mundi sia stato artigianalmente realizzato da Diane Modestini; questo, tuttavia, non dimostra che esso non sia di Leonardo: semmai, anzi, è vero il contrario. Non bisogna infatti dimenticare che, mentre Modestini realizzava il Salvator Mundi (a voler parlare michelangiolesco, mentre lo tirava fuori dalla tavola in cui era rinchiuso), era intimamente convinta che quel poco che ne era rimasto fosse stato messo lì da Leonardo; in altri termini, era convinta di dover far emergere dalle nebbie del tempo un capolavoro del Maestro, un’opera in cui Leonardo aveva messo il suo stile, le sue caratteristiche, le sue convinzioni: dunque, mentre praticamente ridipingeva un quadro che non esisteva più, Modestini non pensava di dover ridipingere un Luini, un Salaì, un d’Oggiorno o un altro dei leonardeschi. No: pensava di dover ridipingere un Leonardo. E questo è precisamente quello che ha fatto.

E dunque, a mio modesto modo di vedere, il Salvator Mundi si trova in uno stato di schroedingeriana indeterminatezza; non è un quadro di Leonardo (perché dell’opera originale non è rimasto pressoché nulla) e contemporaneamente lo è (perché ciò è quello che ha dipinto Modestini): e, a dirla tutta, trovo questo dialogo tra artisti (perché un restauratore è un artista) molto più affascinante ed interessante dell’eventuale, vera attribuzione dell’opera.

Intervallo

Cosa pensi, quando sei convinto di avere in cassaforte un Leonardo fin lì sconosciuto? Probabilmente, di aver fatto l’affare del secolo; ed è curioso perché hai, contemporaneamente, ragione e torto (ed ecco che torna Schroedinger). Da un lato, è vero che un pezzo così raro ti consente di fare, più o meno, il prezzo che vuoi; dall’altro, proprio questo tuo sostanziale arbitrio spaventa i compratori privati, e la fama già controversa dell’opera rende impossibile che ad acquisirlo sia un museo.

Fu dunque piuttosto difficile, per i suoi proprietari, trovare una “nuova casa” al Salvator Mundi; infine, a farsi avanti, attraverso un intermediario, Yves Bouvier, fu un miliardario russo residente in Svizzera, Dmitry Rybolovlev. La compravendita non fu esente da lati oscuri: anni dopo, Rybolovlev accusò Bouvier di averlo, sostanzialmente, truffato; ed è indubbio che Bouvier si sia comportato in maniera quanto meno discutibile, nel corso dell’“affare”. Vorrei spiegarvi perché, ma farlo mi costringerebbe ad esprimere (cosa che mi sono ripromesso di non fare) dei commenti riguardo il mercato dell’arte, che considero irrazionale ed ingiusto come qualsiasi altro mercato.

Ed ecco, la frase precedente dimostra con quanta difficoltà potrei tener fede al mio proposito.

Secondo tempo

Ad un certo punto della storia, il Salvator Mundi lasciò il caveau in cui Rybolovlev l’aveva rinchiuso e finì, insieme con tutta la sua collezione d’arte, alla casa d’aste Christie’s.

In questo periodo il dipinto divenne, come ho scritto nell’articolo linkato ad inizio post, un influencer; un influencer che faceva il giro del mondo (o, quanto meno, degli Stati Uniti) pubblicizzando la sua stessa vendita. Il 15 novembre 2017, infine, il quadro venne battuto all’asta per la cifra più alta mai pagata per un’opera d’arte: quattrocentocinquanta milioni di dollari; l’identità del compratore non fu rivelata, nonostante in molti (compresa l’FBI) si fossero dimostrati interessati a conoscerla. Furono alcune inchieste giornalistiche a fare un nome: quello di Mohamad bin Salmad Al Saud, principe ereditario e sostanziale padrone dell’Arabia Saudita.

Per quale motivo un principe saudita dovrebbe acquistare un dipinto forse di Leonardo? Per scopi prettamente politici: Saud si sta impegnando a “ripulire” l’immagine del suo paese e, soprattutto, del suo governo; uno dei modi che ha scelto per farlo è stato costruire un “centro culturale” in mezzo al deserto, in cui ospitare opere d’arte d’importanza internazionale: primo e più importante di questi ospiti sarebbe dovuto essere il Salvator Mundi. Per conseguire questo scopo, Saud ha avviato un’intensa e fattiva collaborazione (anche istituzionale) con la Francia, testimoniata anche dalle visite ufficiali compiute in questo paese; paese in cui, per altro, per il momento la storia del Salvator Mundi si conclude, con un nuovo, incredibile colpo di scena.

Il Louvre organizzò infatti, nel 2019, una sua mostra dedicata al Da Vinci, e durante questa mostra avrebbe dovuto essere esposto pure il Salvator Mundi, che fu trasportato nel museo per nuove indagini che consentissero, finalmente, di far luce sulla sua “paternità”; all’ultimo momento, tuttavia, Saud cambiò idea, ed il quadro fece la parte del convitato di pietra: pare, perché i curatori della mostra si rifiutarono di esporlo nella stessa sala della Monna Lisa. Da allora, esso è sparito e nessuno sa che fine abbia fatto; possediamo tuttavia, pare, i risultati degli studi compiuti sul dipinto, pubblicati in un catalogo distribuito in pochissime copie e subito ritirato: è stato Leonardo, dice il catalogo, a realizzare il Salvator Mundi.

Questa conclusione può essere veritiera, come no; in nessuno dei due casi, c’è da esserne felici.

Diciamo che il quadro non sia di Leonardo: allora, gli esperti di uno dei musei più importanti del mondo possono essere così poco competenti da aver commesso un errore, oppure essere stati invitati a commetterlo per obbedire ad un preciso dettato politico: consentire ad un importante alleato, Mohamad bin Salmad Al Saud, leader di una monarchia liberticida e, secondo la CIA, mandante dell’omicidio di un giornalista all’interno di un’ambasciata, di perseguire il suo programma propagandistico; consentirgli di avere l’imprinting di una prestigiosa istituzione culturale che lo riconosce come “amante delle arti”.

Viceversa: gli esperti hanno ragione, ed il quadro è effettivamente di Leonardo; ed allora, abbiamo consentito a Saud, senza colpo ferire, di sottrarre al mondo una delle pochissime opere del maestro di Vinci giunte fino ai giorni nostri: e gliel’abbiamo consentito, essenzialmente, per un suo capriccio.

E lo so, che questa storia avrebbe forse meritato un finale più lieto: ma essa, almeno per il momento, non ce l’ha. Titoli di coda.

2 thoughts on “Salvator Mundi, un kolossal in due tempi

  1. scusa per il commento fuori posto: ma è per dirti che non so perché wordpress abbia deciso che questo tuo bellissimo post sia un commento al mio modestissimo resoconto di una biografia di Leonardo; io non c’entro. in ogni caso lo avrei lettolo stesso, naturalmente.

    avrei trovato più appropriato, semmai, che wordpress lo considerasse vicino al mio post successivo sulla Scomparsa di Majorana, il libro scritto da Sciascia, visto che, sorprendentemente e in maniera del tutto indipendente dal tuo, che leggo solo stamattina, arriva per Majorana a considerazioni simili a quelle che tu fai per quest’opera che è assieme di Leonardo, ma anche no. che anche lui, Majorana, come personaggio, il genio mondiale della fisica, è finito nella tipica condizione del gatto di Schroedinger, cioè di essere contemporaneamente sia vivo sia morto, o ci si è messo, quasi per contrappasso.

    • Forse è perché io l’ho citato. Non ho ancora letto il tuo post sulla Scomparsa di Majorana, che è un libro che mi è molto piaciuto (come praticamente tutto quello che ha scritto Sciascia).

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