Quasi un mese fa, in un post (questo) che faceva della vertigine la sua vera ragion d’essere, raccontavo di aver raccontato di aver fatto un sogno. Ciò corrispondeva, in gran parte, a verità.
Certo, quell’articolo era stato scritto (e non vedo come avrebbe potuto essere altrimenti) indossando la stessa maschera che mi metto sempre addosso, sulle pagine di questo blog; d’altronde, era vero che avevo messo a parte qualcuno di un sogno, il cui contenuto era stato a tal punto inquietante che mi ero stupito che a produrlo fosse stata la mia mente, sia pure addormentata, e non quella, che so, di Howard Philip Lovecraft. Il testimone involontario del mio terrore non era stato lo stesso che avevo dichiarato nelle righe di quell’articolo, lo riconosco; d’altronde, non mentivo quando affermavo di aver sognato:
di compiere un atto riprovevole, in plurimi sensi; di aver poi sognato di essermi svegliato, e che qualcuno mi ricattava per il sogno precedente; di aver assistito a vari, falsi risvegli, in uno dei quali mi ero trovato intrappolato in una casa in cui era assai semplice entrare, ma impossibile uscire.
Non pretendo di attribuirmi alcun credito per quest’ultima immagine, atroce nella sua infernale semplicità; essa ha svariati precedenti, tra cui il più ovvio è Hotel California degli Eagles. Ho a lungo lottato con essa, convinto che non consentisse nessuna interpretazione che “non chiamasse in causa il dottor Freud”; solo in seguito, ho compreso che si trattava, semplicemente, di un tentativo del sogno di mettermi in guardia contro se stesso. Continue reading →