Che quello ero io – 2

(Lo strano titolo di questo post è spiegato qui)

Chi: Un uomo di circa cinquant’anni, proveniente dal Nord Africa, che con poca fantasia chiameremo Abdul. Per quanto possibile ricostruire, non problemi di salute.

Cosa: pochi minuti prima, mentre aspettava l’autobus, ha avvertito debolezza all’arto inferiore di destra. Poco dopo, ha iniziato anche a parlare male. Ad ogni modo, quando io lo visito è tutt’altro che muto e, anzi, un fiume in piena di parole; solo che sono parole in arabo. Il fratello, che giunge di lì a poco, ci conferma però quanto già ci pareva evidente: quelle frasi non hanno alcun senso, in nessuna lingua. Abdul ha un deficit del linguaggio (un’afasia) ed inoltre una paresi all’arto inferiore di destra.

Perché: l’afasia può essere la spia di una vasta gamma di problemi del sistema nervoso centrale. Quando insorge così acutamente e per di più è accompagnata dalla paresi o paralisi (la perdita o assenza di forza di uno o più arti o della muscolatura del volto) di un lato del corpo, bisogna innanzitutto escludere un ictus, quella patologia neurologica in cui un’area del cervello cessa improvvisamente di funzionare, per via di un problema circolatorio (tecnicamente, un’ischemia) o di un’emorragia.

Quindi?: la gestione dell’ictus segue protocolli standardizzati, che, tra le altre cose, prevedono tutti un rapido consulto neurologico. Quando la neurologa di guardia entra in ambulatorio, saluta dicendo “Buongiorno”; ed Abdul risponde: “Buongiorno a lei, dottoressa”. Di lì in poi racconta personalmente la storia clinica iniziata alla fermata dell’autobus, parlando un italiano pressoché perfetto.

Come: per quanto il funzionamento dell’encefalo (che è il nome corretto con cui bisognerebbe riferirsi alla porzione di sistema nervoso centrale che si trova all’interno della scatola cranica) non sia ancora pienamente compreso (un’intera disciplina, le neuroscienze, si occupa anzi specificatamente di questo), fin dall’Ottocento è noto che alcune sue aree svolgono funzioni specifiche: a quei tempi, grazie a degli studi autoptici, si scoprì che molti pazienti che avevano esibito un determinato sintomo avevano un danno in una certa area dell’encefalo; più elegantemente, in neurologia i sintomi presentano spesso uno, o più, correlati anatomici. Quindi, me ne dispiaccio, ma dobbiamo parlare di anatomia.

La regione dell’encefalo più prossima alla scatola cranica si chiama telencefalo. È divisa dalla scissura interemisferica in due emisferi, il destro ed il sinistro; ciascuno di essi, presenta una porzione anteriore (il lobo frontale), una posteriore (i lobi parietale e occipitale) ed una inferiore (il lobo temporale), tra cui si interpongono la scissura di Rolando (che separa verticalmente il lobo frontale da quello parietale) e quella di Silvio, orizzontale, che delimita il lobo temporale superiormente. Altre scissure “spezzettano” ulteriormente i vari lobi in circonvoluzioni.

La paresi e la paralisi sono stati tra i primi sintomi ad aver ricevuto un correlato anatomico: a causarle è spesso una lesione nella porzione del lobo frontale che si trova subito davanti alla scissura di Rolando, e che dunque si chiama area pre-rolandica,o anche corteccia motoria primaria per via della sua funzione. Ce ne sono due, una per lato, con questa interessante proprietà: se una smette di funzionare, la paralisi si realizza dal lato opposto del corpo; non solo, ma “segmentando” l’area pre-rolandica, ci si accorge che ogni suo “pezzetto” controlla un distretto corporeo specifico: così, per esempio, la “morte” della porzione più vicina alla scissura interemisferica della corteccia pre-rolandica di destra conduce a paralisi dell’arto inferiore di sinistra, in qualunque paziente si presenti. La corteccia motoria primaria, comunque, non è l’unico “determinante” del movimento: il suo compito è “dare l’ordine” di muovere uno o più muscoli; ma il movimento dipende anche da aree cerebrali diverse (e non solo cerebrali: il midollo spinale e il cervelletto hanno un ruolo importantissimo), e danni ad aree diverse conducono a paralisi diverse, o a sintomi motori che non sono paralisi.

Anche il linguaggio è “localizzato”; ma anch’esso è un “evento” complesso, che richiede, al minimo, tre funzioni distinte:

  • l’elaborazione;
  • la comprensione;
  • la “produzione vocale”.

Di quest’ultimo compito (se ci riferiamo al linguaggio parlato) si occupano diversi “sistemi” che si trovano nell’encefalo “profondo” (termine non proprio, ma è per capirci) e che innervano i muscoli di laringe, lingua e palato responsabili dell’articolazione della parola; un loro danno può condurre alla disartria: il paziente dice male le parole. Ma non era questo che capitava ad Abdul; no, quello che lui stava sperimentando era una molto poco piacevole afasia: ossia, non riusciva a creare il linguaggio, non sarebbe riuscito ad esprimersi nemmeno se gli avessimo offerto di farlo con carta e penna.

Dov’è che, dentro il nostro cervello, ha casa “la grammatica”? Principalmente in due zone, che hanno una particolarità: si trovano su un solo emisfero, che per questo motivo viene detto dominante (nella grandissima maggioranza delle persone, si tratta del sinistro*); dai loro scopritori prendono il nome di area di Broca (nel lobo frontale) ed area di Wernicke (nel lobo temporale). La prima produce il linguaggio, ed una sua lesione causa un’afasia non fluente: “il paziente capisce, ma non parla”; alla seconda è invece demandata la comprensione del linguaggio, ed una sua disfunzione causa un’afasia fluente, quella che nei vecchi libri di neurologia veniva riassunta nella brutale formula “il paziente non capisce quello che dice” (ed il medico nemmeno, se è per questo). Se sono danneggiate entrambe le aree si realizza un’afasia globale: il paziente né parla, né capisce.

E le persone bilingui? Quante aree del linguaggio hanno? Gli studiosi non concordano su questo tema; sembra che possano esistere differenze tra i bilingui simultanei (chi impara due lingue come lingua madre) e i bilingui consecutivi (come probabilmente era il nostro Abdul, che aveva una lingua madre, l’arabo, e da adulto aveva imparato l’italiano). Vi è inoltre un relativo grado di certezza riguardo il fatto che ci sia un’area che è fondamentale per la produzione del linguaggio qualunque sia la lingua utilizzata, e che poi esistano regioni diverse per le diverse lingue parlate; la localizzazione di queste aree non è fissa (come in realtà anche nei monolingue, entro certi limiti: ed infatti pazienti che debbano subire interventi al cervello a volte praticano studi di imaging funzionale per capire da dove il chirurgo deve “stare lontano”), ma può cambiare in seguito a danni transitori (ad esempio, dovuti a crisi epilettiche) o permanenti (un’ischemia oppure una neoplasia) del cervello: pazienti bilingue epilettici, ad esempio, possono avere le aree del linguaggio in localizzazioni differenti rispetto a pazienti non epilettici, e pazienti bilingue che sono andati incontro alla morte di un’area del cervello deputata al linguaggio possono recuperare una sola delle lingue parlate, che a volte è quella acquisita per prima e a volte quella con cui si ha più dimestichezza, oppure entrambe. Il caso di Abdul, comunque, sembra indicare che effettivamente esistono aree diverse per diverse lingue, perché Abdul presentava due afasie diverse: una globale per l’italiano ed una fluente per l’arabo.

Perché? Come detto, la maggioranza degli ictus (e, spoiler!, questo è il caso) sono causati da un’ischemia: il sangue, col suo preziosissimo carico di ossigeno e nutrienti (di cui in questa rubrica torneremo ad occuparci), per qualche motivo non riesce più a raggiungere l’encefalo. Ciò è particolarmente deleterio per i neuroni, le cellule che permettono al sistema nervoso di fare tutto ciò che fa: in condizioni in cui la circolazione sia completamente interrotta (come accade nell’arresto cardiaco), l’encefalo inizia a presentare danni dopo 4 minuti, e dopo 10 quei danni sono irreversibili. L’evoluzione ha quindi portato l’encefalo, che assomma ad appena il 2% del peso corporeo, a ricevere il 15% circa della gittata cardiaca, il sangue che esce dal cuore ad ogni battito; non solo, ma le “tubazioni” che lo raggiungono sono “progettate”** per non lasciarlo mai “a secco”: ben quattro arterie, le due carotidi interne e le due vertebrali, raggiungono la scatola cranica e, nella sua base, creano un circolo anastomotico (ossia, si connettono le une con le altre), il poligono di Willis, da cui si dipartono le arterie, quattro per lato, che raggiungono i lobi telencefalici ed anche l’“encefalo profondo”:

  • la cerebrale anteriore, per la porzione più anteriore dei lobi frontali;
  • la cerebrale posteriore, per il lobo occipitale;
  • la corioidea anteriore, per le strutture più vicine alla scissura interemisferica;
  • la cerebrale media, la più voluminosa, per quasi tutto il resto.

Come si vede, questo sistema è ingegnoso, ma presenta due difetti:

  1. qualunque “problema” avvenga a valle del poligono di Willis porta inevitabilmente ad un’ischemia;
  2. un’ischemia prossimale (ossia, più vicina al circolo del Willis) della cerebrale media ha effetti vasti e potenzialmente devastanti.

L’area pre-rolandica e le aree di Broca e Wernicke, ad esempio, ricevono sangue dalla cerebrale media. Se “qualcosa” (di solito un coagulo di sangue, che si chiama trombo se si forma “in loco” ed embolo se invece proviene da una localizzazione distante e si “blocca” proprio lì) chiude completamente quel vaso sanguigno, la corteccia motoria primaria e le aree del linguaggio, insieme a tutto ciò che c’è in mezzo ma che non ha funzioni immediatamente evidenti (parleremo forse in un’altra occasione delle cosiddette aree mute dell’encefalo) iniziano a soffrire, e si manifestano paresi/paralisi ed afasia. Questo è quello che era successo ad Abdul; ma perché, in seguito aveva ricominciato a parlare?

Può essere interessante notare che certi tipi di linguaggio “convenzionale” (i saluti, le preghiere, l’alfabeto, le tabelline…) possono essere mantenuti anche in pazienti afasici; un classico caso è quello della “reazione catastrofica”, in cui il paziente con afasia non fluente, che capisce benissimo di non riuscire ad esprimersi, in seguito all’ennesimo impiccio del linguaggio si lascia andare ad una lunga serie di improperi perfettamente pronunciati. Si tratta di un momento che, lo dico avendovi assistito, sarebbe divertente, se non fosse drammatico; ma non è questo che aveva subito Abdul: Abdul aveva recuperato completamente il suo linguaggio, ed in entrambe le lingue che parlava; in più, era anche di nuovo perfettamente in grado di muovere la gamba.

Il sistema che regola la coagulazione è uno dei più delicati ed affascinanti che la biologia sia stata capace di elaborare; oscilla continuamente tra la necessità di far coagulare il sangue e quello di farlo rimanere liquido per farlo giungere agli organi che ne hanno bisogno. Per questo motivo, esistono tutta una serie di “regolatori” (grande croce dello studente di medicina che prepara l’esame di ematologia) che non solo “decidono” quando il sangue deve coagularsi e quando no, ma anche quando un trombo già formato deve sciogliersi: questo è il motivo per cui alcuni pazienti (molto pochi, in verità) possono spontaneamente “guarire” da un infarto (ne riparleremo); questo è il motivo per cui alcuni pazienti (un numero più consistente, per fortuna), dopo aver accusato dei sintomi perfettamente compatibili con quelli di un ictus, tornano poi ad uno stato normale. Il trombo o l’embolo che aveva mandato in sofferenza certe aree del loro cervello viene rimosso ed il sangue riprende a fluire normalmente attraverso i vasi sanguigni. Questa patologia, che testimonia comunque il rischio di una recidiva di ictus, prende il nome di attacco ischemico transitorio.

Ma un po’ più in breve?: l’emisfero sinistro del cervello di Abdul, un uomo bilingue, per qualche minuto non riceve più sangue a causa di un’ischemia: Abdul muove quindi con difficoltà la gamba destra e diventa incapace di comprendere l’arabo, e di comprendere e parlare l’italiano. In seguito, questi sintomi si risolvono spontaneamente.

Cosa abbiamo imparato?: che l’encefalo è un organo straordinariamente complicato, e che quello di una persona che è stata così brava da imparare due lingue diverse lo è ancora di più.

*è stata ormai superata l’idea secondo cui l’emisfero dominante è il sinistro nei destrimano, e il destro nei mancini. Libri di divulgazione splendidi come La donna che morì dal ridere di Vilayanur Ramachandran trattano con dovizia di particolari di alcune funzioni che, invece, sono localizzate nel negletto emisfero destro, e solo lì.

** l’autore di questo articolo utilizza questo vocabolo per semplicità, ma non crede al creazionismo, né al “disegno intelligente”.

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