Book tracker – Terza stagione – 2

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Il rovescio della nazione, di Carmine Conelli: saggio incentrato sulla “questione meridionale” che, pur negando l’idea che la conquista del Sud Italia da parte dei Savoia possa essere considerata la prima “avventura coloniale” dell’Italia liberale (come pure alcuni hanno suggerito), applica allo studio della materia gli stessi strumenti metodologici di cui si servono gli storici specializzati negli studi coloniali, ossia in quella branca della storia che si occupa del rapporto tra potenze colonizzatrici e territori colonizzati. Ne risulta un testo fondamentale per chiunque voglia parlare di Sud Italia senza suonare stantio o retorico: Conelli infatti mette inflessibilmente allo scoperto una serie di luoghi comuni, polemizzando non solo con i teorici della “superiorità settentrionale”, ma anche e soprattutto con i “tifosi del Sud” e con gli intellettuali meridionali presenti e passati; di questi luoghi comuni, divenuti ormai veri e propri automatismi, vengono ricostruiti l’origine ed i meccanismi di diffusione, giungendo poi ad una loro decostruzione, con un approccio sempre apertamente militante, ma al tempo stesso onesto. Il risultato è un tentativo di reinquadrare la “questione meridionale” ed il “meridionalismo” (l’autore per altro polemizza con queste definizioni) in una cornice inedita e potenzialmente feconda: la formazione dello stato italiano, per Conelli (che dichiara scopertamente l’ispirazione gramsciana del suo lavoro), avrebbe portato ad uno scontro non tanto e non solo tra il Nord che già guardava all’Europa ed il Sud testardamente ancorato alle sue tradizioni ancestrali, quanto piuttosto tra i subalterni di ogni latitudine e le elite culturali, politiche ed economiche di quello che sarebbe diventato il regno d’Italia. Purtroppo, a metà del libro si ha l’impressione che esso “si interrompa”, in quanto nella seconda parte vengono proposti materiali senza dubbio interessanti, ma dedicati ad argomenti “laterali” rispetto a quello centrale, ed un poco slegati tra loro; ancora una volta, comunque, Conelli si segnala per onestà, perché chiarisce che Il rovescio della nazione è non solo una sintesi dei suoi studi sulla questione meridionale, ma anche una raccolta di materiali variegati, già pubblicati altrove in precedenza. Ne risulta comunque un saggio interessante ed anzi illuminante… purché abbiate l’accortezza di evitare la fastidiosa post-fazione di Iain Chambers, un lungo sbrodolamento di citazioni che non aggiungono assolutamente nulla a quanto ottimamente prodotto da Conelli.

La signora Dalloway, di Virginia Woolf: ad un certo punto, arrivato quasi alla fine di questo strano, breve (sono appena centonovantadue pagine nell’edizione in mio possesso) eppure densissimo romanzo, ho scritto all’amico che ha voluto regalarmelo (facendo cosa assai gradita): se ci fosse una sparatoria, La signora Dalloway sarebbe un film di Tarantino. Potrebbe sembrare un giudizio sarcastico, ma in realtà voleva essere assai lusinghiero: per carità, abbiamo qui a che fare con un Tarantino maturo, divenuto quasi esistenzialista, capace di riunciare ai suoi dialoghi brillanti e dunque inverosimili (mentre i dialoghi di questo romanzo sono tra i più reali che mi sia mai capitato di leggere) ed alle sue sequenze mozzafiato per mettersi maggiormente al servizio dei personaggi e della loro costruzione, che è probabilmente quello che qui la Woolf riesce a fare meglio. La decina circa di personaggi, tutti ugualmente importanti, che compaiono ne La signora Dalloway ci crescono infatti letteralmente sotto gli occhi, attraverso un sapiente uso del monologo interiore, del flashback e del flashforward. Per perseverare in questa metafora cinematografica, si potrebbe poi dire che l’autrice si dimostra una virtuosa della macchina da presa, creando un’opera che è tutta un unico piano sequenza fin da quando, nelle prime pagine, la signora Dalloway esce di casa per andare a comprare dei fiori per una festa che terrà alla sera. Inizialmente, ci limitiamo a seguirla, entrando anche impudicamente nei suoi pensieri; ma, in seguito, ci stacchiamo da lei e ci mettiamo alle calcagna degli altri personaggi (alcuni da lei conosciuti, altri no) che incontra lungo la strada, ed alla fine quel che ne viene fuori è un grandioso affresco della Londra (e del mondo) del primo dopoguerra, che satireggia, in maniera discreta eppure efficace, un sistema che già allora mostrava i suoi limiti, e che ad un certo punto alla Woolf risulterà così insopportabile da volervisi sottrarre con un gesto definitivo, che diviene assai significativo dopo aver letto questa sua opera. Capolavoro di tecnica messa al servizio di una trama che sarebbe stata inconsistente in mano a chiunque altro, ad un certo punto il romanzo mi ha spinto a pensare che non avrebbe potuto concludersi altrimenti che in due modi, tra loro contraddittori, e che qualunque sarebbe stato il finale scelto l’avrei trovato comunque soddisfacente: e invece, le ultime pagine de La signora Dalloway dovevano sorprendermi, rivelandomi una risoluzione ancora diversa, che comunque mi è sembrata il degno coronamento di questo libro.

Ipnosi ed ESP, di Milan Ryzl: ho già ampiamente commentato qui questo volume (pubblicato negli anni Ottanta ed ora purtroppo introvabile, credo) mentre la sua lettura era ancora in corso, ed in questa sede non posso che confermare le ottime impressioni che allora mi aveva fatto: a dispetto dell’ovvio entusiasmo che prova nei confronti della materia, il professor Ryzl, un fisico prestatosi agli studi sulla parpsicologia (la branca della psicologia che si occupa dei fenomeni paranormali), si segnala per il suo approccio assai rigoroso alla materia, lontano anni luce da quello sensazionalistico a cui ci hanno abituato personaggi come Roberto Giacobbo, e dimostra che per interessarsi al tema non è necessario essere degli ingenui che credono a qualunque ciarlatano si riempia la bocca, a scelta, di fisica quantistica o di antiche tradizioni. Per altro, è particolarmente lodevole il fatto che Ryzl abbia condotto questi studi con la precisa intenzione di rendere accessibili i poteri paranormali a tutti: un obiettivo a cui, purtroppo, non ha potuto essere fedele fino in fondo, per via del “fastidioso interesse”, di cui parla apertamente lui stesso, che i governi, ad un certo punto, hanno iniziato a mostrare nei confronti del suo lavoro.

La talpa, di John Le Carrè: classico del genere spionistico scritto da un autore che era per davvero una spia (al tempo in cui pubblicò questo suo primo romanzo, anzi, Le Carrè lavorava ancora per l’MI6), La talpa aveva tutte le carte in regola per essere memorabile: in fin dei conti, si tratta di un giallo ambientato nel mondo delle spie (il protagonista, un ex agente di nome George Smiley, riceve l’incarico di scoprire chi è che fa il doppio gioco nel servizio segreto inglese per conto dei sovietici), che rifiuta ed anzi rifugge il machismo e l’esagerazione di James Bond in favore di uno stile più dimesso e crepuscolare. Pure, su di esso non posso esprimere un giudizio definitivo: da una parte, è indubbio che Le Carrè sappia scrivere, che i suoi personaggi siano affascinanti nella loro mediocrità e che ci siano un paio di scene che restano impresse per la loro vividezza, soprattutto nella prima e nella terza parte; dall’altro, la tensione è eccessivamente altalenante e, nella porzione centrale, dedicata alla ricostruzione di una passata guerra intestina che fornisce contesto, ma che è tutto sommato insignificante per la “trama principale”, a volte scompare del tutto, lasciando il lettore invischiato in una rete di relazioni costruita, forse, con eccessiva dovizia di particolari. Inoltre, la rivelazione è infine assai poco soddisfacente, e nelle ultime pagine viene aggiunta ad un testo già eccessivamente “popolato” una serie di comprimari di cui, onestamente, non si sentiva il bisogno.

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