A Londra con dei bravi LADS – 3

(Chi si chiedesse cosa sono i LADS, e di quale Testo si parli qui, ed insomma che diavolo sta succedendo, qui potrà trovare forse delle risposte).

Due sono i Brown che si inseguono nel Testo.

Il primo è Derren, “uno dei più originali e raffinati mentalisti contemporanei” (pag. 73), che sembrerebbe avere tra le pagine di questa rubrica maggior “diritto di residenza”, essendo nato proprio a Londra; il secondo è Dan, autore (americano) de Il Codice da Vinci. Quest’ultimo è citato esplicitamente soltanto una volta ne L’arte di stupire, a pagina 118: tuttavia, possiamo ritenere che la sua capacità di infondere meraviglia nella realtà, sia pure a costo del sacrificio dell’attendibilità storica, sia assai apprezzata dagli Autori.

La fugace apparizione (potremmo quasi chiamarla cammeo, se stessimo parlando di cinema) di Dan Brown si trova nell’ampia sezione del Testo che racconta la curiosa storia di un piccolo villaggio dei Pirenei francesi: Rennes-le-Château. Alla fine dell’Ottocento parroco del paesino era Bérenger Saunière, il quale iniziò ad un certo punto a sostenere, per restaurare edifici o costruirne ex novo, spese che sembravano eccedere le possibilità di un povero curato di campagna; tra le anime della sua comunità, dunque, iniziò a serpeggiare un pettegolezzo: don Saunière, dicevano i suoi parrocchiani, aveva trovato un tesoro.

Le motivazioni di questa inspiegabile ricchezza divennero, in seguito, note, e risultarono assai più mondane: Saunière pubblicizzava su vari giornali la sua disponibilità a dire messa “su ordinazione” per le anime dei defunti, ricevendo così un costante e cospicuo flusso di denaro. Le funzioni promesse, tuttavia, nella maggioranza dei casi non furono mai celebrate: Saunière ricevette dunque dal suo vescono l’ordine di trasferirsi in un’altra città, rifiutò, e per questo motivo venne privato della parrocchia. Quando morì, nel 1917, era solo un “libero prete”.

Tuttavia, quando la realtà si scontra con una bella storia, è quest’ultima a prevalere: coloro che si erano appassionati alla vicenda del “prete miliardario” ignorarono completamente questa incresciosa vicissitudine e continuarono ad adeguarsi alla vox populi, che voleva Saunière scopritore di una fortuna nascosta; tale versione, per altro, si incrocia con un’altra diceria locale, quella che vuole Rennes-le-Château essere il luogo di sepoltura di un tesoro visigoto, forse addirittura quello razziato durante il Sacco di Roma del 410 (vera e propria ossessione degli Indiana Jones fin dai tempi del Medioevo, come racconta Allegra Iafrate nel suo imprescindibile Cercar tesori tra Medioevo ed Età Moderna); in questi termini ne parlò anche la stampa regionale, che mantenne viva la leggenda, la quale infine fece il salto di qualità nel 1967, grazie ad uno scrittore e poeta surrealista: Gerard de Sède.

Ex partigiano, De Sède era stato contattato dal faccendiere (ed ex collaborazionista) Pierre Plantard, il quale lo incaricò di scrivere un libro per sostenere le sue pretese al trono francese(!), che in qualche modo si incrociavano col villaggio pirenaico; con puro spirito dadaista, de Sède fece qualcosa di molto diverso, ed il frutto delle sue fatiche, Le tresor maudit de Rennes-le-Château (pubblicato appunto nel 1967), lasciava completamente da parte le aspirazioni monarchiche di Plantard per concentrarsi, piuttosto, sugli aspetti sinistri della cittadina, elencando tutti coloro che si erano occupati del suo “mistero” ed erano morti in circostanze inspiegabili. Sottolineiamo en passant, a questo proposito, che uno degli Autori, Mariano Tomatis, ne è appassionato cultore da più di vent’anni, tanto da avervi dedicato una rivista e da aver curato la traduzione italiana del testo di de Sède; nonostante questo, gode a tutt’oggi di ottima salute.

Il libro di de Sède fece uscire Saunière ed il suo villaggio dall’angusta dimensione locale e li fece diventare famosi prima in Francia, poi anche all’estero. La fama esplose definitivamente quando un autore televisivo inglese, Henry Lincoln, che aveva letto Le tresor maudit de Rennes-le-Château, ne ricavò prima tre documentari per la BBC e, in seguito, insieme ai colleghi Michael Baigent e Richard Leigh, un suo libro, a sua volta destinato a diventare un bestseller: The Holy Grail. In questo “saggio”, il “tesoro” trovato da Saunière viene ipotizzato essere di natura non “materiale”, bensì “informativa”: il curato, durante i lavori di restauro della chiesa del villaggio, avrebbe scoperto dei documenti che provavano incontrovertibilmente che Gesù, sfuggito (o sopravvissuto, o risorto) alla crocifissione, sarebbe arrivato in Francia con Maria Maddalena, sua moglie; il Vaticano avrebbe comprato il suo silenzio su questa scottante verità attraverso ingenti donazioni. Vent’anni dopo, una storia pressoché identica (perdonate lo spoiler di uno dei libri più venduti dell’ultimo trentennio) sarebbe stata narrata da Dan Brown nel Codice da Vinci; il che portò Baigent, Leigh e Lincoln a citarlo in giudizio per plagio. Il giudice chiamato a decidere in merito rigettò l’accusa, notando che, se quello di cui avevano scritto i tre era “storia”, allora su di essa non si potevano accampare diritti d’autore.

Una cosa, comunque, è certa: visti i guadagni che Il Codice da Vinci ha fruttato al suo autore, si può ben dire che a Rennes-le-Château un tesoro nascosto c’era eccome; ed è in qualche modo giusto che a trovarlo sia stato proprio Dan Brown. La struttura del suo romanzo più famoso, infatti, ripete proprio quella di una caccia al tesoro, con tanto di enigmi da risolvere e trappole da disinnescare; e ad un certo punto, nel loro peregrinare attraverso due stati, tre dei protagonisti dell’opera, il professor Robert Langdon, il suo amico Leigh Teabing (il cui nome riprende quello di due degli autori di The Holy Grail: come a dire che, se Brown ha copiato, non l’ha fatto certo nascostamente) e la crittografa Sophie Neveu giungono in Inghilterra alla ricerca di “un cavaliere sepolto da un Papa”, e pensano di poterlo trovare (ecco che finalmente arriviamo a Londra) all’interno della Temple Church. 

Tale supposizione è destinata a rivelarsi errata, ed i nostri troveranno the knight a Pope interred (indovinello piuttosto ingegnoso, va detto) in un luogo della capitale britannica di cui qui non si parlerà, visto che se ne può estesamente leggere su tutte le più comuni guide turistiche. L’ipotesi, ad ogni modo, si basa su un dato storico incontrovertibile: all’interno della Temple Church sono effettivamente presenti dei cavalieri: sono abilmente scolpiti su dieci lastre (che però non sono pietre tombali).

Non potrebbe essere altrimenti, d’altronde: come il nome suggerisce, la chiesa è stata fondata negli anni Sessanta del XII secolo per fungere da quartier generale dell’Ordine Templare (aggregazione metà monastica, metà, appunto, cavalleresca) in Inghilterra, e questo la rende una delle più antiche ancora esistenti a Londra (tra le altre cose, ha resistito al Grande Incendio del 1666 ed al Blitz degli anni Quaranta, sia pure uscendone danneggiata). La chiesa è costituita da due sezioni: la più antica (la cosiddetta “Chiesa Rotonda”) è quella effettivamente costruita dai templari, mentre l’altra (chiamata The Cancel oppure The Oblong) è stata aggiunta una quarantina d’anni dopo per ordine di Enrico III. Quest’ultima presenta una “tradizionale” pianta rettangolare a tre navate; la prima, invece, come il nome suggerisce, è a pianta centrale, come molti degli edifici di culto templari, che si ispiravano nella costruzione alla Chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme (dal cui patriarca Temple Church ebbe l’onore di essere consacrata): è in questa sezione della chiesa che si trovano “i cavalieri” di cui andavano alla ricerca Langdon e soci, in altorilievi posti sotto le colonne che sostengono la volta.

Chi volesse farsi un’idea dell’atmosfera del luogo, senza rischiare lo “spoiler” in cui possono esitare le (non poche) fotografie che ritraggono l’edificio, può leggere Una lettera da casa, fumetto scritto e disegnato da Don Rosa: questa storia vede Paperon de’ Paperoni impegnato nella ricerca di un tesoro appartenuto proprio ai Templari (può mai mancare un tesoro, quando si parla di loro?) e, benché ambientata in Scozia, si conclude in una stanza sotterranea che ha molto in comune con la Temple Church; in particolare, la pianta circolare e la presenza di dodici cavalieri in pietra, che risulteranno fondamentali per il ritrovamento delle ricchezze nascoste (in parte diverse da quelle che il papero più ricco del mondo aveva immaginato). Il fumettista italoamericano non è stato l’unico a farsi ispirare dalla Temple Church: è qui, ad esempio, che William Shakespeare ambienta l’inizio del suo dramma storico Enrico VI, parte I.

All’epoca del Bardo, la chiesa era già passata di mano svariate volte: soppresso l’Ordine del Tempio nel 1312, ne presero possesso i Cavalieri di Malta, che la tennero fino a quando Enrico VIII non ripudiò il cattolicesimo, fondando la chiesa anglicana e dissolvendo gli ordini monastici in Inghilterra: tra i molti doni che questa sua politica portò alla monarchia britannica, ci fu anche la Temple Church. Esiste uno stretto legame tra gli avvocati e la chiesa, visto che essa è in uso alla loro corporazione da almeno cinquecento anni; a tutt’oggi, essa “serve” due ordini professionali di barristers che hanno sede poco lontano: l’Inner ed il Middle Temple. Questo spiega perché molti di coloro che sono sepolti in essa sono avvocati (e non cavalieri, con buona pace di Langdon); non mancano tuttavia altri personaggi notevoli, tra i suoi “ospiti perpetui”: ad esempio, Richard Mead, pioniere nella concezione della trasmissibilità delle malattie infettive. Non risulta tuttavia che nella sua plurisecolare storia essa sia mai stata usata come luogo di sepoltura per tesori; seppe tuttavia ritagliarsi comunque un suo piccolo ruolo nella storia: alla fine del Cinquecento (per la precisione, tra il 1581 ed il 1585), infatti, essa fu sede della più famosa disputa teologica dell’epoca, la “guerra del pulpito”.

Lo scontro vide opposti, tra il 1581 ed il 1585, Richard Hooker, master of the Temple (essenzialmente, parroco), e Walter Travers, una delle figure più importanti del calvinismo inglese, che invece rivestiva il ruolo di lecturer (ossia, di predicatore); oggetto del contendere tra i due era il destino ultraterreno di coloro che erano vissuti prima che la riforma protestante mostrasse ai cristiani quale era la vera religione, quella che le perfide manovre dei papi e della chiesa di Roma non avevano inquinato. Hooker credeva fermamente che Dio fosse così misericordioso da salvare perfino “i cristiani imbevuti delle superstizioni papiste” che erano vissuti prima della riforma, e questa affermazione suscitò lo scandalo di Travers (assai intransigente nel suo calvinismo), che additò il suo “avversario” alla pubblica riprovazione.

Quest’ultima potrebbe (e dovrebbe) oggi essere incomprensibile: ma un feroce odio religioso e politico opponeva, allora, i cristiani europei tra loro. In Inghilterra regnava Elisabetta I, fieramente protestante dopo il tentativo, effimero quando brutale, di restaurazione cattolica della sorella, Maria; la regina (che nella repressione del cattolicesimo non si dimostrò meno feroce di Maria, passata alla storia come Sanguinaria) era stata scomunicata dal papa nel 1570: ciò implicava che i suoi sudditi (quanto meno, i suoi sudditi cattolici) avrebbero dovuto smettere di obbedirle. Tre anni dopo la fine della guerra del pulpito, le coste britanniche furono attaccate dall’Invincibile Armada di Filippo II, re della cattolicissima Spagna e vedovo di Maria. 

Un’altra Maria, appartenente alla famiglia Stuart, regnante in Scozia, simpatizzante del cattolicesimo, cugina di Elisabetta e prima nella linea di successione al trono inglese, era in quel momento sua prigioniera, ed Elisabetta la sospettava di cospirare contro di lei. I fatti finirono per darle ragione: Maria, infatti, riusciva a comunicare con i suoi sostenitori infilando dei messaggi cifrati nei turaccioli che chiudevano le botti di birra che giungevano e partivano dalle varie residenze in cui la cugina la teneva rinchiusa; non sapeva, tuttavia, che il suo birraio, Gilbert Gifford, era al servizio di un agente segreto di Elisabetta: quest’ultima poté così raccogliere le prove del suo tentativo di farla assassinare e la anticipò, facendola condannare a morte nel 1587. Lo scontro tra Maria ed Elisabetta ebbe un riflesso anche all’interno della Temple Church: da un lato, infatti, il clero della chiesa era sospettato di dare rifugio a dissidenti cattolici; dall’altro, molti degli avvocati legati ad essa furono tra gli accusatori di Maria. Ad ogni modo, Elisabetta fu, forse, infine presa da un qualche tipo di rimorso per come aveva trattato la cugina, e volle che venisse sepolta con tutti gli onori: a tutt’oggi, le loro due tombe si trovano vicine*.

In un contesto del genere, la guerra del pulpito risulta tragicamente comprensibile, e fu forse la meno cruenta di quel periodo disgraziato; si concluse senza un vero vincitore, ma chi cura il sito internet di Temple Church sembra parteggiare per la tolleranza di Hooker, definendolo “l’eroe della nostra chiesa”. Ci piacerebbe se questo giudizio fosse maggiormente condiviso.

Temple Church è aperta alle visite dal lunedì al venerdì, secondo orari molto “inglesi”; al suo interno potrete ammirare la Rotonda con i suoi cavalieri di pietra, l’Oblong e la Cella Penitenziaria, dove chi aveva disubbidito al gran maestro o all’ordine templare veniva imprigionato e, pare, a volte lasciato morire di fame; sovente vi sono ospitati concerti. Usciti dalla chiesa, vi ritroverete a passeggiare per Fleet Street, dove il diabolico Sweeney Todd tagliava barbe e capelli; passerete davanti alla statua di un drago, che corona il Temple Bar Memorial, monumento che commemora il luogo in cui si trovava uno degli antichi accessi alla City (che ancora vive, sia pure in tutt’altro luogo); potrete fermarvi a bere una pinta dentro un caratteristico double decker bus (è ospitato nel cortile dell’Old Bank of England, pub ricavato nei locali della vecchia Banca d’Inghilterra) e sentir battere l’ora a Gog e Magog dal campanile di Saint Dustan in the West.

Langdon, Teabing e Neveu non trovarono tesori, nella Temple Church, è vero: ma chi dice che a voi non potrà andare meglio? Anzi, se vorrete passeggiare appena qualche minuto, senza dubbio ne troverete a centinaia all’interno del… (al prossimo mese)

* nello stesso edificio, per altro, in cui si trova il cavaliere sepolto da un Papa poc’anzi citato.

16 thoughts on “A Londra con dei bravi LADS – 3

  1. ricordo che una volta dicesti che ti sarebbe piaciuto scrivere delle guide turistiche di nuovo tipo. questo mi pare un esempio egregio.
    così, quando tornerò a Londra nella mia prossima vita, dopo la reincarnazione che spetta a tutti i seguaci della religione hindu, e spero che la mia sia ancora in forma umana, non rinuncerò a passarci una mezza giornata, tenendo in mano questo post, stampato, per non perdermi neppure un particolare di quei luoghi…

      • allora rinvio la partenza, aha. c’era una mezza possibilità di una toccata e fuga il mese prossimo, e sarei certamente andato a vedere per primo il teatro shakespeariano, il Globe Theatre…
        ma se dovrò fare giri più lunghi, meglio rinviare… 🙂

        • Volevo andarci anche io, ma se vuoi prendere un posto decente bisogna prenotare con mesi di anticipo, ed a prezzi assurdi. Alternativamente puoi prendere la platea, ma se piove sono tutti fatti tuoi…

          • ma io non ci andrei a vedere uno spettacolo; col mio inglese e la mia semi-sordità sarebbero soldi sprecati, visto che faccio fatica a seguire Shakespeare anche in italiano se sono già soltanto alla decima fila.
            a me basterebbe visitare il luogo per immergermi nell’atmosfera…

            quanto ai prezzi assurdi, in copertina vedo da 8 a 13 sterline e mi domando: ?che cosa mi racconta Gabriele? poi provo a prenotare un posto che direi di loggione, e mi esce un prezzo di !!!72 sterline!!!
            abominevole, in effetti.

            • Ah, ok 🤣. Peccato perché il teatro è stata una delle migliori esperienze che abbia fatto a Londra: talmente tanto che ci sono tornato due volte. Ed il sogno era andare proprio lì… ma con i prezzi ci ho rinunciato. Una cosa che si potrebbe fare (ma che non so se fanno lì) è andare prima dello spettacolo e vedere se hanno biglietti “last minute”: in altri teatri li danno via (anche da prima fila) anche a 5 sterline.

              • in quattro volte che sono stato a Londra, mai vista. e strano, perché vedo che è vicina al ponte di Londra, dove sono stato appunto nel 2004. ma era notte, e sicuramente mi sarà sfuggito anche soltanto di notarla.

                aspetto comunque un post sul tema, ahah.

          • idea affascinante, dato che sarebbero sicuramente complementare e mostrerebbero aspetti molto diversi.
            resta però il problema di coordinare le località in cui andare, perché mi pare che per ora coincidano solo Londra e Siviglia, ahaha.
            io sto faticosamente terminando un racconto a sfondo familiare della visita a Londra del 2004.
            insciallah, molto insciallah, vorrei andare in Algeria e Senegal in autunno…

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