A Londra con dei bravi LADS – 2

(E che ci faccio a Londra? Se desiderate saperlo, potete scoprirlo qui).

Baker Street

In questa via, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del XX secolo, visse Sherlock Holmes, uno dei detective privati (o, per meglio dire, dei “consulenti investigativi”) più famosi della sua era ed anche della nostra, se è vero com’è vero che ancora oggi molti turisti giungono qui alla ricerca del 221 B, dove Holmes divise una casa col suo amico e biografo, il dottor John Henry Watson.

Com’è ovvio, ogni cosa a Baker Street parla del detective, dal merchandising venduto nei negozi ai nomi dei locali; addirittura, sul muro della fermata della metro più vicina, che porta lo stesso nome della strada ed è in prossimità di uno degli ingressi al Regent’s Park, si può ammirare una pittura murale che ne riproduce l’inconfondibile silhouette. L’attrazione “a tema” principale è comunque lo Sherlock Holmes Museum, che si propone come “custode della tradizione holmesiana” nonostante sia stato aperto soltanto nel 1990: all’interno si trova una riproduzione dello studio del detective, della sua stanza da letto, di quella del dottor Watson e della padrona di casa, la signora Hudson; tutte le camere sono arredate secondo il gusto del tardo XIX secolo e contengono un buon numero di chincaglierie antiquarie. Il biglietto d’ingresso costa 16 sterline, ma il viandante che progetti una visita all’insegna del risparmio potrà accontentarsi di una fotografia alla porta d’ingresso del museo (resa famosa dalla serie tv Sherlock), che sullo stipite ha il 221B a caratteri dorati… nonostante l’edificio non si trovi affatto al 221B.

La casa in stile georgiano in cui è ospitato il museo occupa infatti lo spazio tra i numeri 238 e 241 di Baker Street, e solo una speciale deroga le permette, in barba alla matematica, di fregiarsi comunque del numero 221. Ma il “vero” 221 è più avanti, in un blocco di civici (quelli tra il 215 ed il 229) che dal 1932 al 2002 è stato occupato dalla Abbey House, sede centrale della Abbey National, un’azienda di costruzioni poi divenuta banca. Oggi, di quell’edificio resta solo la facciata, perché il resto è stato abbattuto per far spazio ad edifici residenziali più moderni; negli anni Cinquanta, tuttavia, qui arrivava la corrispondenza per Holmes, ed era così numerosa che la Abbey pagava un’impiegata solo per sbrigare quella!

Questo non è l’unico legame tra la Abbey ed Holmes. Nel 1954, la Marleybone Public Library decise di realizzare una ricostruzione dello studio del detective; il compito di progettarla venne affidato allo scenografo Michael Weight e la Abbey non solo fu tra i principali finanziatori, ma offrì la sua sede (quindi, appunto, anche il 221 di Baker Street) per ospitarla. L’opera venne aperta al pubblico il 22 maggio di quell’anno e chiuse il 22 settembre, fu un grande successo e si distinse per la grande attenzione al dettaglio: per fare un esempio, ogni mattina un fornaio portava un crumpet (un particolare tipo di pane) appena sfornato nello studio, e lo lasciava, morsicato, vicino ad una tazza di tè; l’intento era dare l’impressione che Holmes avesse interrotto a metà la colazione per lanciarsi in un’indagine. La scrivania dello studio, poi, era quella a cui si era seduto Arthur Conan Doyle per scrivere i racconti ed i romanzi che avevano reso famoso l’investigatore.

Nel caso foste tra quella non così esigua porzione della popolazione mondiale che nel 1954 non era ancora venuta al mondo, e foste dispiaciuti per non aver potuto assistere a quell’evento, non disperate: la Whitbread (una multinazionale che opera nel campo dei servizi alberghieri) acquistò la riproduzione e la rimontò in un pub di sua proprietà, il Northumberland (al 10 di Northumberland Street), che per l’occasione venne rinominato Sherlock Holmes Pub. Il pub, e la riproduzione, sono ancora lì; e non è tutto, perché questo non è l’unico legame tra Holmes e il Northumberland. Il detective lo “frequentò” (o, per meglio dire, frequentò il bagno turco ad esso adiacente, una porzione del quale è tuttora esistente nell’adiacente Craven Passage) in una delle sue avventure, quella “del nobile scapolo”; inoltre, in uno dei casi più famosi del detective, quello del mastino dei Baskerville, il dottor Watson vi si reca per incontrare il dottor James Mortimer, convinto che su di lui gravi una terribile maledizione. Ai tempi di Holmes, il pub era un albergo e si chiamava, appunto, Northumberland Hotel: questo nome è stato poi “ereditato”, abbastanza incomprensibilmente, da un albergo di più recente costruzione, che si trova a quattro chilometri dallo Sherlock Holmes, vicino la stazione di King’s Cross.

Ad ogni modo, non è per questo motivo che gli Autori si occupano della strada londinese; e, in verità, all’interno de L’arte di stupire Sherlock Holmes non viene citato neppure una volta. Il Testo infatti nomina Baker Street non in quanto strada, ma in quanto fermata della metropolitana: a pagina 23 viene infatti riportata una citazione di Gilbert K. Chesterton che, notando quanto tristi fossero i passeggeri della metropolitana della capitale inglese, concluse che ciò doveva accadere perché i viaggiatori “sanno che il treno va dove deve andare. Perché sanno che, per qualunque posto abbiano preso il biglietto, lo raggiungeranno. Perché, dopo aver oltrepassato la stazione di Great Portland Street, troveranno la stazione di Victoria, e solo la stazione di Victoria”.

Chesterton riteneva che, per questa problematica, non esistesse che una soluzione: “Oh, quale giubilo sarebbe il loro! Oh, come brillerebbero i loro occhi, come si beerebbe l’anima loro del paradiso ritrovato, se la stazione seguente fosse inaspettatamente quella di Baker Street!”.

Tutte le stazioni della Tube sono state, nel corso della loro storia, oggetto di lavori e restauri; quella di Baker Street, forse, più delle altre, perché si tratta della prima stazione della Metropolitan Railway (l’antenata della metropolitana odierna) ad essere stata completata: ed essendo stata Londra (com’è noto) la prima città a fornirsi di questo servizio, si può a buon titolo concludere che Baker Street sia stata la prima fermata della metropolitana al mondo. Venne aperta il 10 gennaio 1863, e alcune sue strutture “originali” sono in servizio a tutt’oggi: i binari 5 e 6, serviti dalle linee Hammersmith and City e Circle, sono ciò che ne resta (benché sull’imboccatura di uno dei tunnel sia presente una placca che riporta un “1911” di non univoca interpretazione). Tale “prima stazione” può essere facilmente riconosciuta perché presenta ancora i fori che servivano per la sua ventilazione: i primi treni a correre su questi binari erano infatti a vapore (con conseguenze che vengono ben descritte nel romanzo La macchina della realtà, di Bruce Sterling e William Gibson). Nel tempo, poi, altre stazioni sono state costruite a Baker Street, tra cui una (usata pochissimo) che si chiamava Baker Street East; quella attuale è il risultato dell’unione di tre queste stazioni ed è servita da ben 5 linee diverse (Bakerloo, Jubilee, Metropolitan, e le già citate Hammersmith and City e Circle).

Non sappiamo a quale di queste stazioni si riferisse Chesterton, quando scrisse, ne L’uomo che fu giovedì (pubblicato per la prima volta nel 1908), quelle sue parole memorabili; non sappiamo neppure quale linea gliele ispirò.

Quel che è certo è che, nonostante i numerosi “aggiustamenti” subiti dalla Tube negli oltre cent’anni che ci separano da quel romanzo, oggi come ai tempi suoi nessun treno che entri a Baker Street vi è giunto provenendo da Great Portland Street: il che, suppongo, deve continuare a provocare un grande disappunto ai cinque milioni di viaggiatori che, quotidianamente, usano la metropolitana.

Ma chissà, forse sarà in occasione del vostro viaggio che, tra Great Portland Street e Baker Street si aprirà il “tunnel spaziotemporale” di cui gli Autori parlano a pagina 24 del Testo, consentendo al treno di raggiungere tale fermata “tra lo sgomento e lo stupore dei passeggeri”, come in un racconto di Julio Cortazar.

(Fonte principale di questo articolo è un post del meraviglioso The LondoNerD, il cui autore è stato già in passato “coinvolto” nelle “attività” di questo blog, e che colgo qui l’occasione per ringraziare: non solo perché senza di lui quanto avete letto fin qui non esisterebbe, non solo perché questa non sarà l’ultima volta che il suo lavoro verrà da me “saccheggiato” in questa rubrica, ma per il grandissimo lavoro di divulgazione che fa sulla capitale inglese. Dubito che me ne sarei innamorato come ho fatto, senza di lui).

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