Tre domande dal Dottore

Lo scorso 25 giugno, circostanze incresciose del tutto dipendenti dalla mia volontà mi hanno costretto, credo per la prima volta da quando tengo questo blog, a pubblicare un aggiornamento ed anzi una correzione ad un mio articolo, intitolato Citarsi addosso, che stava provocando reazioni assai più animate di quanto avevo previsto e, soprattutto, accuse che, per quanto provenienti da persone del tutto in buona fede e assolutamente benintenzionate, si rivelavano più ingiuste ed immotivate ogni minuto che passava.

Fin da subito, ho creduto che la vicenda legata a quello scritto, ed a ciò che l’aveva ispirato, contenesse degli elementi istruttivi che sarebbe stato il caso di approfondire; e se lo faccio solo ora (perché questo è lo scopo del lungo post che state leggendo) è perché ho preferito lasciar sedimentare le “emozioni dell’immediatezza”, in modo da riuscire ad approcciarmi con un animo più “scientifico” ai fatti.

Di questi ultimi, sarà forse il caso di fornire un resoconto: in previsione di un mio viaggio a Londra (svoltosi tra il 10 e il 16 maggio scorsi) avevo preparato un racconto a puntate, intitolato A Londra col dottore, che è stato pubblicato su queste pagine negli stessi giorni in cui mi trovavo in Inghilterra; il racconto, che vedeva alcuni “vecchi amici” aggirarsi per le vie di Londra, era un giallo con tinte paranormali che poteva funzionare entro certi limiti anche come guida turistica sui generis: e non aggiungo altro perché così facendo spero, un po’ cinicamente, di convincere chi non l’ha letto ad andare a recuperarselo, se non altro per curiosità. La gran parte delle informazioni “ambientali” sulla Londra in cui i miei “amici” si muovevano le avevo ricavate da un blog interamente dedicato a questa città, il delizioso Londonerd, scoperto per altro ben prima di iniziare a progettare un viaggio nella capitale del Regno Unito.

Alcuni giorni dopo essere tornato in Italia, ho dunque creduto doveroso ringraziare chi scriveva quel sito per l’aiuto che mi aveva fornito: ho dunque lasciato un commento in merito (che al momento non potete vedere: spiegherò poi il perché) sotto questo post, e l’autore non solo mi ha risposto, non solo mi ha detto di aver apprezzato A Londra col dottore, ma mi ha anche fatto una di quelle proverbiali proposte che non si possono rifiutare: voleva ripubblicare il mio racconto sul suo sito. Inutile dire che ho accettato immediatamente.

Dopo una serie di disavventure che vi risparmio, dunque, A Londra col dottore è “rivissuto” su Londonerd; in sette puntate, e non in sei. Luigi (il cui nome, che pure conoscevo, non ho mai esplicitato in Citarsi addosso, ed anche questa scelta verrà spiegata nel prosieguo di questo post), infatti, ha voluto far precedere il mio racconto da una sua introduzione, in cui scriveva che A Londra col dottore era un vero racconto a puntate degli anni Trenta, comparso su sei copie di un fantomatico quotidiano londinese, che erano fortunosamente venute in possesso di Luigi durante una visita presso un negozio di antiquariato di Camden Passage: chi mi conosce potrà ben immaginare quanto abbia apprezzato questa scelta.

Con mia sorpresa, fin da subito è sembrato che i lettori di Londonerd stessero davvero credendo alla cornice che Luigi aveva voluto costruire; non solo, ma è sembrato anche che apprezzassero quanto da me immaginato (una lettrice, che spero mi perdonerà se la metto in questi termini, ha addirittura osato paragonare A Londra col dottore alle opere di Wilkie Collins, che ha scritto il miglior giallo della storia della letteratura); galvanizzato da questo successo, ho dunque a mia volta avanzato una proposta a Luigi, il cui progetto iniziale era di rivelare la “burla” terminata la pubblicazione. Ho così preparato un nuovo articolo (il sopraddetto Citarsi addosso) in cui ho finto di non essermi accordato con lui e di essere stato a mia volta sorpreso dal fatto che quanto io avevo scritto adesso fosse stato in realtà pubblicato quasi cent’anni fa su un effimero quotidiano con base a Londra, ed in cui ho suggerito, sornione, che dietro tutta la faccenda potesse esserci un viaggio o, quanto meno, una sbirciata nel tempo. Ovviamente, perché il gioco “tenesse”, bisognava far sparire ogni indizio del nostro “contatto”: ecco perché il commento che aveva dato inizio alla nostra collaborazione è stato cancellato, ecco perché non l’ho mai chiamato per nome in Citarsi addosso.

Luigi, che era titubante rispetto a questa strategia, evidentemente era più avveduto di me: davo infatti per scontato che i miei lettori, dati i miei “precedenti”, avrebbero capito il gioco, e per buon conto ho anche esplicitamente scritto che non ritenevo esistesse la possibilità di un plagio; non di meno, nei commenti a quel post tale ipotesi era la più accreditata ed anzi l’unica che veniva considerata. A quel punto, l’aggiornamento era inevitabile: Luigi non mi aveva sottratto proprio niente, anzi aveva voluto farmi una cortesia, e se c’era stata un’incomprensione la colpa era da attribuire solo a me, che non avevo capito che “il gioco è bello quando dura poco”. La vicenda si è poi conclusa felicemente, e Luigi mi ha fatto sapere che, in futuro, non esclude la possibilità di collaborare di nuovo con me. Spero rimarrà di quest’idea anche dopo aver letto questo post.

Non sono riuscito a mantenere, in questo riassunto, la sintesi che avrei voluto, ma ritengo fosse necessario ricostruire accuratamente anche i particolari, perché ritengo che proprio nei particolari si annidi ciò che permetterà una risposta (certo parziale) alle domande che tutta la storia mi ha suscitato. Queste domande sono tre:

Perché i lettori di Londonerd hanno così facilmente creduto che A Londra col dottore provenisse da un giornale degli anni Trenta?

In fin dei conti, come detto, c’erano numerosi indizi (alcuni onestamente macroscopici) che rendevano chiaro che quel racconto non poteva essere stato scritto che nella recente contemporaneità o, quanto meno, non prima dell’inizio del Terzo Millennio: ci sono riferimenti ad articoli di giornale degli anni Novanta, a Jack Torrance (il protagonista di Shining), a Ken Loach, alla gentrification ed al “nuovo corso” dei docks di Wapping; eppure, dev’esserci stato qualcosa che ha portato la sospensione dell’incredulità ad un livello tale da permettere a chi leggeva di essere cieco rispetto a tutte queste evidenze: e ritengo che questo qualcosa sia del tutto estraneo a ciò che ho scritto io.

Se il nostro gioco è riuscito così bene, è stato grazie all’introduzione che Luigi ha posto in testa al racconto.

In essa, come accennato, raccontava che, durante uno dei suoi numerosi e reali viaggi a Londra, aveva fatto una puntata (reale anch’essa) in un negozio di Camden Passage; qui, aveva trovato un giornale che aveva attirato la sua attenzione perché, sulla prima pagina, riportava la vignetta di un disegnatore umoristico (reale) che molto gli piace… tutto questo, narrato con uno stile ed un “afflato” che sono coerenti con quanto Luigi scrive di solito.

In altri termini, l’introduzione che Luigi ha regalato a A Londra col dottore presenta due caratteristiche: era consistente rispetto agli altri suoi scritti, e presentava degli elementi di realtà che si mescolavano a degli elementi di finzione; magari chi leggeva aveva dei sospetti, ma la fonte da cui stava apprendendo “i fatti” è usualmente affidabile, e lì stava parlando con la sua solita voce. Poi, certo, stava riportando degli avvenimenti a cui era difficile credere, e che era anzi difficile trovare un modo per verificare; non di meno, c’erano degli elementi senza alcun dubbio veri, e quindi…

Io e Luigi eravamo assolutamente benintenzionati, e le nostre intenzioni erano puramente ludiche. Non di meno, e spero che lui non si offenda se lo dico esplicitamente, non sarebbe stato difficile, se lo avessimo voluto, trasformare il nostro gioco in una fake news (per quanto innocua). E questo ci porta al secondo quesito…

Perché la prima cosa a cui i miei lettori hanno pensato è stato ad un plagio?

… al quale fornire una risposta è stupidamente semplice: perché Internet ci ha insegnato che Andreotti aveva ragione, quando diceva che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende.

O, in altri termini: quel mondo virtuale in cui viviamo immersi, e da cui non possiamo uscire, ci ha mentito (e d’altronde, cosa ci aspettiamo che faccia, un mondo virtuale?) talmente tante di quelle volte che porre in essere, nei suoi confronti, quell’attegiamento verso il quale i lettori di Londonerd (certo grazie alla bravura di Luigi come scrittore) si sono mostrati così inclini, è per alcuni difficile, se non impossibile; siamo diventati così sospettosi nei confronti di Internet e di chi lo abita che la sospensione dell’incredulità ci risulta penosa, anche quando è evidente (come per me era in questo caso) che quella a cui stiamo assistendo è una finzione, che presuppone questo atteggiamento.

Internet (o, per meglio dire, i social network), ci è stato detto più volte, favoriscono la polarizzazione, e questo è vero anche nei confronti delle bugie che esso (ovviamente) propala; rispetto alle quali riusciamo ad essere solo una di queste due cose: cinici o, viceversa, credenti. Dimenticando che esiste una differenza notevole tra mentire, che è quello che fanno molti siti di (fake) news, e far finta, che è quello che stavamo facendo io e Luigi.

Infine: in un mondo come il nostro, ha ancora senso parlare di plagio?

La nostra idea di arte e, più in generale, di “lavoro creativo”, sconta ancora i cascami e le impostazioni proprie del Romanticismo, per cui l’Artista (con la A maiuscola, ovviamente) è colui che, in totale solitudine, baciato da un’entità misteriosa chiamata Ispirazione, incanalata grazie al suo Genio, crea, per primo e nella maniera migliore possibile, un’opera unica ed irripetibile, che gli altri possono solo ammirare… o, al limite, copiare (che, come insegnava Picasso, è in fin dei conti la forma più alta di stima).

Personalmente, ho abbandonato questa ingenua concezione anni fa, quando ho compreso che ogni creazione è un atto collettivo, e di questo tema ho scritto su questo blog più volte; l’ultima, proprio nei commenti di Citarsi addosso, dove il mio amico bortocal notava come quel che dicevo era vero per molte arti (il cinema, il teatro, la musica), ma non per la scrittura e, più precisamente, per la scrittura di un blog, che è un’operazione che ogni blogger fa da solo, seduto di fronte al proprio computer senza nient’altro che la sua mente a guidare le sue mani.

Già: la sua mente. Ma che cos’è la sua mente? Tutti siamo d’accordo che l’Ulisse di Joyce sia un caposaldo della letteratura dell’ultimo secolo, e che il buon James l’abbia scritto senza avvalersi dell’aiuto di nessuno. E tuttavia: quel libro sarebbe esistito senza l’Odissea? Quel libro sarebbe esistito se non fosse esistita la temperie culturale che gli ha permesso di diventare il monumento che è? Quel libro sarebbe esistito se prima di Joyce migliaia, cosa dico, milioni ed anzi miliardi di persone avessero non solo scritto, ma anche solo raccontato storie, fornendo a lui ed a tutti coloro che almeno una volta nella vita hanno provato a mettere in fila una fabula ed un intreccio una lunga serie di stilemmi e di strutture da riprodurre o, che è lo stesso, da distruggere? Si può veramente ancora credere, nel XXI secolo, che un’opera d’arte possa esistere sradicata dal complicatissimo contesto in cui è sorta? Ogni opera d’arte è il frutto dell’opera del singolo che l’ha resa esplicita, certo, ma anche di tutti coloro che nel passato hanno originato i materiali con cui l’ha costruita. L’opera d’arte è un’opera collettiva non solo in senso sincronico, ma anche in senso diacronico (sto usando delle parole complesse, ma spero abbiate capito cosa voglio dire).

Si parva licet componere magnis, lo stesso si può dire anche di A Londra col dottore: intanto, si tratta di un apocrifo holmesiano, e dunque utilizza dei personaggi che non ho creato io (e forse neanche Conan Doyle, che per scrivere Holmes si ispirò ad un suo professore); in secondo luogo, come ho già sottolineato, la Londra che ho “messo dentro” a quella storia non sarei mai stato capace di progettarla, se prima Luigi non mi avesse fornito le indicazioni per farlo: e, anzi, sospetto che senza di lui io non sarei mai voluto andare a Londra, quel viaggio non ci sarebbe mai stato e, di conseguenza, non ci sarebbe mai stato nemmeno A Londra col dottore.

Non mi sarei mai sognato di accusare Luigi di plagio, neppure se quella mia modesta opera l’avesse ripubblicata senza discuterne prima con me; d’altro canto, se lui avesse accusato me di avergli rubacchiato qualcosa, be’… non avrei avuto proprio nulla da ridire.

5 thoughts on “Tre domande dal Dottore

  1. ma io sono completamente d’accordo con te! (e con Omero e con Dante, come spiegherò subito dopo).

    ogni scrittura, ma diciamo pure, allargando il discorso, ogni atto creativo, è opera individuale soltanto in prima battuta e al livello di osservazione più superficiale.

    sotto questo livello ce ne sta un altro più profondo, che conosciamo bene, noi che scriviamo, o chi è creativo in altri ambiti.

    solo in apparenza noi scriviamo, ma in realtà siamo scritti, da qualcosa che non è individuale.

    lo sapeva bene Omero, che chiedeva alla Musa di cantare per bocca sua o Dante che, descrivendo come aveva iniziato a scrivere una poesia, disse: la mia lingua parlò quasi come per sé stessa mossa.

    • D’altronde, io che scrivo modestamente narrativa spesso e volentieri vengo a mia volta “sorpreso” da certe idee che mi vengono in mente senza alcun motivo. Magari il mio cervello stava lavorando “in background” su qualcosa che avevo letto o visto, ed improvvisamente ha “tirato fuori” quel pensiero. Questo, quando invece l’ispirazione non è esplicita: per esempio, l’articolo che procede questo, “Calati dar cielo”, è stato suggerito da una frase di Wu Ming 1 durante un incontro coi lettori, come per altro ho anche “confessato”.

  2. Esiste la fantasia che ha sempre un incipit reale. Qualsiasi storia bella o brutta è un atto di fantasia. Creativa? Boh, non lo so perché creare significa produrre qualcosa che non esisteva prima.
    Per quanto riguarda A Londra col dottore l’ho preso come un racconto fantasioso che in qualche modo si rifaceva a quel personaggio che ha nome Sherlock Holmes sia pure in chiave ironica.
    In Citarsi addosso ho cercato di banalizzare il fatto che a Londra col dottore sia stato ripubblicato su Londonerd – quante volte avviene questo? Di certo molto più spesso di quello che immaginiamo – ma rimetto la seconda parte del mio commento ‘Però è stata l’occasione per scrivere questo lungo post partendo da una citazione del grande Eco per poi produrre una specie di indagine su cosa è successo.’ dove davo più importanza al post in se stesso che a quello che in apparenza poteva essere un copia e incolla.

  3. Sono molto interessanti le domande che le vicenda ti suscita. Lo stesso discorso, mi viene da pensare, potrebbe valere per le immagini (prese dalla rete e reinoltrate chissà quante volte), il che mi dà da pensare ulteriormente: può esistere oggi, internet, senza “plagio”?

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