Guardie e ladri – Mario Monicelli e Steno- Lunedì film

Non penso parteciperò alla “Settimana dell’etica e della morale”, lanciata da iome stamattina (o più probabilmente stanotte…) con questo post qui.

Intendiamoci, all’iniziativa ed alla sua (ambiziosa) creatrice plaudo con tutto il cuore, ma d’altronde sono troppo pigro per impegnarmi stabilmente a seguire questo tema per tutta la settimana, senza deragliare.

Tuttavia, un piccolo contributo sento che posso (e devo) anche darlo: e la mia scelta è caduta sul recensire, nell’ambito della rubrica Lunedì film (lanciata sempre da iome… questa signora ha lanciato più cose di Lucio Battisti. E di qualità molto migliore) Guardie e ladri, di Mario Monicelli (che ho già detto essere il mio regista preferito) e Steno, film del 1951 con un ottimo Aldo Fabrizi e, soprattutto, un ENORME Totò. Dice: e che c’entra, col tema di questa settimana? C’entra, e ci sta pure largo. Seguitemi, e cercherò di spiegarvi perché.

Tutto è nato, come forse sapete, dalla vittoria che iome ha riportato nella tornata scorsa del contest Cita un libro (qui le regole aggiornate): facendo valere il suo potere di giudice della settimana, iome ha deciso di proporre un tema, attorno a cui le citazioni che avremmo proposto questa settimana avrebbero dovuto ruotare. E questo tema è stato, appunto: etica e morale.

Sulla prime, lo ammetto, mi sono sentito un po’ in imbarazzo: dovevo parlare di etica o di morale? Per me, infatti, i due termini non sono affatto sinonimi: in qualche modo, anzi, sono contrari.

So che molti filosofi non saranno d’accordo, ma io l’ho sempre pensata così:

  • la morale è qualcosa che è parente stretto della legge (attenzione: della legge, non della giustizia): un insieme di regole che una comunità si è data, e che, nel caso qualcuno le violi, portano alla riprovazione sociale;
  • l’etica, al contrario, è una legge che qualcuno si da da sé, obbedendo a null’altro che a qualcosa che non riesce a definire meglio che col termine di coscienza: è dunque qualcosa che ha strettamente a che fare con la rivolta, intesa nel senso in cui l’intendeva Albert Camus. “Che cos’è l’uomo in rivolta? L’uomo in rivolta è l’uomo che dice di no”. In questo senso, Kant parla di legge morale, ma quello che intende è piuttosto una legge etica.

Questa contraddizione, in fin dei conti, è ciò che ho cercato di esprimere con la citazione che ho scelto per questa settimana: Atticus Finch, il protagonista de “Il buio oltre la siepe”, è per molti degli altri protagonisti del libro (inclusi i suoi figli, fino ad un certo punto), dei suoi contemporanei “fuori dalle pagine”, ed anche per molti dei nostri contemporanei, un immorale. Che un nero (anzi, un negro) è un animale, e gli animali (anche gli usignoli, che non fanno male a nessuno) nell’incertezza vanno abbattuti: per cui se tu, avvocato, vuoi difenderlo, ti stai mettendo contro i valori della nostra società, e meriti disapprovazione (e perfino soppressione violenta). Se questo discorso vi ripugna, come ripugna Atticus, è perché voi possedete un’etica (appunto) che è diversa, che vi porta ad urlare: “E porca troia, no!” (appunto).

La stessa tensione tra questi due termini esiste anche in Guardie e ladri: i rappresentanti della morale sono Lorenzo Bottoni (Fabrizi, non per caso un poliziotto) e soprattutto l’ammericano Mr Locuzzo (William Tubbs), ed il rappresentante dell’etica Ferdinando Esposito (Totò).

Esposito è un ladruncolo e truffatore da quattro soldi, che ricorre a tutta una serie di espedienti che gli permettono, a mala pena, di sfamare la sua numerosa famiglia (la moglie, ad un certo punto, gli rimprovera che è una settimana che cenano col caffelatte). Un giorno, fingendosi una guida turistica, riesce, con l’aiuto di un complice, Amilcare (Aldo Giuffré), a vendere a quello che crede un turista americano (Locuzzo, appunto, tanto superbo quanto ingenuo), una patacca, spacciandola per una moneta antica. L’americano alla fine se ne accorge, ma non riesce ad acciuffare né Esposito, né Amilcare.

Passa qualche giorno, ed ecco che Esposito ed Amilcare cercano di combinarne un’altra: dopo aver reclutato un gruppo di bambini, che dovranno fingersi figli del primo, cercano di intrufolarsi ad una manifestazione di beneficienza, in cui viene distribuito cibo alle famiglie bisognose purché queste possiedano un invito per entrare in un certo teatro (e qui cominciamo a vedere la satira sociale in azione). Esposito riesce a sorpassare con la sua parlantina fluente il servizio d’ordine, affidato a Bottoni, ma la sfortuna è contro di lui: ad aver organizzato la distribuzione è proprio Mr. Locuzzo, che lo riconosce ed ordina a Bottoni di arrestarlo. Segue un lungo inseguimento, il povero poliziotto ad un certo punto si sarebbe pure stancato, ma niente, Locuzzo continua ad incalzarlo, e così alla fine, quasi suo malgrado, riesce a raggiungere Esposito ed a mettergli le manette ai polsi. Esposito però riesce a sfuggirgli, e questo rientrerebbe nella normale dialettica morale dello scontro tra la guardia ed il ladro: se non fosse che Locuzzo ha un’altra idea, della morale (la morale dell’imperialista, probabilmente), e chiede punizioni esemplari per il tutore dell’ordine che si è lasciato sfuggire il criminale.

Bottoni rischia di essere licenziato: gli vengono dati solo tre mesi di tempo per arrestare, in totale solitudine, Esposito. Per farlo, Bottoni pedina i suoi familiari, li invita a pranzo, regala loro dei vestiti: la signora Esposito è tutta contenta, mentre suo marito si sente messo da parte, schiacciato dalla generosità di questo “benefattore”. E…

… e come finisce non ve lo dico, ma vi basti sapere questo: la morale non può dire nulla del comportamento tenuto da Bottoni. Sta per perdere il lavoro, ed è giusto che ricorra a qualunque mezzuccio, pur di arrestare chi è causa della sua rovina: anche se ciò significa mettere una famiglia contro uno dei suoi membri, e rischiare di mettere una povera donna, un vecchio e dei ragazzi innocenti in mezzo ad una strada. Semmai è l’etica, che si ribella a questo: è nel diritto del ladro (che per altro, al contrario del suo antagonista, va in giro disarmato) tentare di fuggire dalla guardia, ci dice la coscienza (o, almeno, lo dice a me). Ma non è nel diritto della guardia (che ne prende coscienza) comportarsi in modo così gretto e meschino. Meno che mai, è nel diritto di chi utilizza la sua pretesa generosità come un mezzo per esercitare il proprio potere.

Come sempre nei film di Monicelli, un discorso tanto elevato viene condotto col ricorso agli stilemi più delicati della commedia: si ride, e si ride anche tanto. Ma fidatevi se vi dico che, dopo aver visto la scena finale del film (da qualche parte leggerete Bottoni accompagna Esposito… be’, non è vero. Piuttosto, è Esposito che accompagna Bottoni) non sarete più capaci di guardare una cartolina di San Pietro senza sentire una piccola fitta al cuore.

Oltre che un mostruoso senso di colpa per quella volta che anche voi avete pensato (tutti lo abbiamo fatto) che “Sarebbe giusto (e quindi morale) che ci fossero leggi più severe per questi criminali, che tempi sono questi, signora mia!”.

4 thoughts on “Guardie e ladri – Mario Monicelli e Steno- Lunedì film

  1. Ciao, come vedi ricambio la visita! 😛
    Gran bell’articolo questo su “Guardie e ladri”! Concordo con la distinzione fra morale ed etica e sulla puntualizzazione che le legge morale di kantiana memoria sia in realtà ascrivibile al registro dell’etica. Monicelli era un mito di uomo (peccato che la sua verve non lo abbia aiutato a sopportare la malattia che l’aveva colpito!), i suoi film sono eccezionali (anche se non ne ho conoscenza come mi piacerebbe) e trasudano quel mix di leggerezza, satira, garbo e poesia che ti avvolge come una carezza. Grazie per questa bella analisi del film.

    • Molto gentile da parte tua :-).
      Grazie del commento, mi permetto di fare solo una puntualizzazione: proprio il modo in cui Monicelli scelse di andarsene testimonia la sua grandezza e la sua “miticità”. Uno che è stato capace di rimanere coerente fino all’ultimo, e che, con un “colpo da maestro” (titolo che il manifesto gli dedicò, il giorno dopo), se n’è andato come diceva lui.

      Perché il finale, ebbe a dire Dario Vergassola (indovinando una battuta, una volta tanto), Monicelli l’ha deciso sempre lui e basta.

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